Il dibattito, o meglio lo scontro elettorale, aumenta con l’avvicinarsi dell’appuntamento del giugno prossimo: le giornate dal 6 al 9 vedranno i cittadini dei 27 Paesi aderenti all’Unione Europea partecipare al voto per eleggere i propri rappresentanti. In Italia le urne saranno aperte l’8 e il 9 giugno. Poiché sembra sempre più evidente che queste elezioni si sono trasformate (purtroppo non solo nel nostro Paese) in una verifica sullo stato di salute del governo e molto meno sui temi del futuro dell’Unione europea, pensiamo possa essere utile dare qualche elemento in più di riflessione sulle competenze del Parlamento europeo e in seguito su ciascuna istituzione che contribuisce al sistema giuridico dell’Ue (Consiglio europeo, Commissione Europea, ecc.). Cercheremo così di spiegare chi fa che cosa a Bruxelles, sciogliendo anche il famoso nodo del “ce lo chiede l’Europa”.
Le origini storiche del Parlamento Europeo risalgono all’Assemblea comune del Carbone e dell’Acciaio (1952): l’Europa risorgeva dalla distruzione della Seconda Guerra Mondiale con un accordo solidale di ricostruzione, investimenti e politiche sociali. Successivamente, nel 1962, l’Assemblea ha preso il nome di Parlamento Europeo. Grazie a una riforma approvata nel 1979, si passa da parlamentari designati dai parlamenti nazionali, e dunque con una duplice funzione, a parlamentari eletti.
Attualmente sono 705 i parlamentari europei che siedono in rappresentanza dei 27 Paesi, ma arriveranno a 720 con le prossime elezioni, per un aggiustamento basato sul numero di abitanti. Il Parlamento europeo è l’unica istituzione eletta a suffragio universale; il numero dei seggi assegnati per Paese è stabilito dai trattati (si va dai 6 deputati per i Paesi più piccoli, come Malta, Lussemburgo e Cipro, fino ai 96 della Germania, il più grande per popolazione). Sono i singoli Stati che stabiliscono le modalità di voto a livello nazionale. In Italia il sistema elettorale prevede: il diritto di voto a chi ha compiuto 18 anni, mentre l’età minima per candidarsi è di 25 anni. Le circoscrizioni elettorali sono 5; le liste per potere eleggere i propri candidati devono superare lo sbarramento del 4%, e sono votate con sistema proporzionale.
Il Parlamento Europeo esercita una funzione legislativa assieme al Consiglio dell’Unione Europea (che rappresenta i governi dei 27 Stati); con il trattato di Lisbona (2007) gli ambiti di responsabilità del Parlamento Ue in materia di co-decisione sono stati ampliati. La Commissione europea propone i nuovi atti giuridici (politiche, direttive, regolamenti, ecc), ne sorveglia l’attuazione e gestisce il bilancio comunitario. Tutto bene? Funziona perfettamente l’orologio istituzionale? No, affatto! e vediamo cosa è mancato, cosa si è rotto e quali riforme sono state proposte e — auspicabilmente — affidate alle istituzioni europee del prossimo mandato.
Le crisi finanziarie del 2007-2008 che dagli Stati Uniti si allargarono a macchia d’olio a tutto il mondo provocarono il primo vero terremoto istituzionale; divenne allora prioritario salvare mercati finanziari e sistemi bancari a qualsiasi prezzo e i costi sociali furono enormi.
La famigerata “troika” formata dalla Commissione europea, dalla Banca Centrale europea e dal Fondo Monetario Internazionale assunse il ruolo non solo di negoziatore, ma di decisore, controllore e supervisore dei Paesi maggiormente indebitati (ricordiamo ancora tutti come la Grecia fu umiliata e messa in ginocchio); si scavalcarono i governi nazionali, si spodestò il Parlamento europeo del suo ruolo, tanto che la troika stessa fu oggetto di una indagine nel 2014 per verificarne il livello di democraticità e/o di eventuale abuso di potere nelle operazioni messe in atto.
Usciti, ma non del tutto, da quella crisi, siamo entrati tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 in una delle più devastanti epidemie che abbia mai colpito l’intero globo. L’impatto economico e soprattutto sociale non è ancora stato studiato fino in fondo. Certamente la Commissione della presidente Ursula Von der Leyen ha avuto un ruolo centrale nella costituzione di un fondo unico per l’acquisto dei vaccini e per la distribuzione equa, per altro solo per i Paesi dell’Unione europea, di quanto necessario per arginare la spaventosa epidemia. Rimangono molti dubbi sui contratti stabiliti con le multinazionali e sulle gare d’appalto con procedure accelerate e soprattutto sui brevetti farmaceutici rimasti rigorosamente privati.
La procedura “Covid” apre una breccia e con l’invasione russa dell’Ucraina tutta l’attenzione — e consistenti impegni di bilancio — si spostano sul sostegno alle armi in Ucraina e sul finanziamento dell’industria bellica. Da due anni ormai si scelgono procedure che escludono di fatto il coinvolgimento del Parlamento europeo, nel nome dell’emergenza e a discapito della trasparenza; si punta spesso sui regolamenti, atti giuridici immediatamente applicabili. Eppure il Parlamento europeo è il controllore del bilancio, insieme alla Corte dei Conti. Ogni anno infatti il Parlamento europeo ne valuta l’efficacia dell’esecuzione con un’analisi precisa e dettagliata per tutte le istituzioni europee (Commissione, Consiglio, Comitato delle Regioni, Comitato Economico e Sociale, Agenzie, ecc).
Scosso da scandali, tra i quali — non ultimo — il Qatargate, che ha visto anche parlamentari italiani coinvolti, spystories, scorribande di lobbisti non sempre affidabili e trasparenti per obiettivi e metodi, il Parlamento europeo ha bisogno di una rappresentanza profondamente competente, qualificata, presente. È importante che vi sia un legame forte con i parlamenti nazionali e con i cittadini che rappresenta. I parlamenti nazionali sono fondamentali per rafforzare la base democratica del progetto dell’Ue; inoltre spetta ai parlamenti nazionali il controllo di cosa e come i capi di Stato e di governo negoziano nel Consiglio europeo, vigilando allo stesso tempo sul principio di sussidiarietà.
L’Anpi ritiene che il Parlamento europeo, unico organo Ue direttamente eletto dai cittadini, debba avere più ampi poteri nell’ambito di un generale riordino delle competenze di tutti gli organi dell’Ue proprio perché garante del principio democratico della rappresentanza, della partecipazione e della trasparenza, comprese la politica internazionale e la politica di difesa.
Sarà per questo indispensabile rafforzare la modalità di collaborazione e informazione reciproca tra il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali anche in materia di politica di difesa e di sicurezza. Ma non basta: parti sociali e associazioni dovrebbero essere consultati nel percorso di definizione (ex ante) di una direttiva e la sede del Cnel, finora utilizzata a questo scopo, per altro molto raramente, si è dimostrata totalmente insufficiente e del tutto ignorata.
Nuove riforme istituzionali saranno sul tavolo dei prossimi 720 deputati europei. Spetterà a noi dell’Anpi, tra gli altri, promuovere l’informazione e la partecipazione dei cittadini, il controllo democratico e la difesa dei valori e principi della nostra Costituzione che chiediamo siano accolti e rafforzati anche nei lavori del futuro Parlamento europeo.
Susanna Florio, Comitato nazionale Anpi
Pubblicato giovedì 29 Febbraio 2024
Stampato il 05/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/elezioni-del-parlamento-europeo-perche-non-ce-lo-chiede-nessuno-ma-decidiamo-noi/