Se dovesse essere approvato nelle Aule legislative, il disegno di legge costituzionale n.935 voluto dal governo Meloni potrebbe intervenire pesantemente sull’equilibrio tra i poteri dello Stato, depotenziare ulteriormente la centralità del Parlamento e ridurre i poteri del Presidente della Repubblica, nonché il suo ruolo di garanzia “super partes”. Ricordiamo che è composto da soli cinque articoli (modifiche degli articoli 59, 88, 92 e 94 della Carta costituzionale per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità di governo e l’abolizione dei senatori a vita).
L’articolato proposto dal ministero per le Riforme Istituzionali prevede l’assegnazione di un premio di maggioranza (pari al 55 per cento dei seggi) alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei Ministri eletto, in assenza dell’individuazione di una soglia minima di voti per l’attribuzione del premio.
Per esempio, se si dovesse introdurre una legge elettorale che preveda il ballottaggio fra i primi due candidati risultati vincenti al primo turno, una coalizione con una forza elettorale del 20 per cento dei consensi potrebbe ottenere in caso di vittoria al secondo turno, l’assegnazione di un premio di maggioranza eccessivo e sproporzionato, pari al 35 per cento maggiorato rispetto alla sua reale rappresentanza.
Come noto, il Giudice delle Leggi quando si è trovato a valutare la legittimità costituzionale di premi di maggioranza “abnormi”, in contrasto con i principi secondo cui il voto è libero, personale ed eguale, ne ha dichiarato l’incostituzionalità, come nel caso del Porcellum nel 2014. Possiamo dire, quindi, che il Parlamento, eletto con quella legge elettorale, sia stato scelto mediante una norma che successivamente alla sua elezione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima.
In concreto, potrebbe verificarsi che una legge elettorale adattata alla modifica costituzionale intervenuta preveda il sistema elettorale del ballottaggio con le seguenti conseguenze: la coalizione politica che, al primo turno, in seconda posizione abbia riportato il 20 per cento dei consensi potrebbe ottenere, in caso di vittoria al secondo turno, l’assegnazione del 55 per cento dei seggi parlamentari.
Occorre ricordare che, con la maggioranza del cinquantacinque per cento dei seggi preconfezionati di coalizione in Parlamento, possono essere eletti il Presidente della Repubblica che presiede l’organo di autogoverno della Magistratura, cinque giudici della Corte Costituzionale che si aggiungerebbero ai cinque nominati dal Capo dello Stato eletto con maggioranza semplice, e, infine, i componenti laici del Csm, il Consiglio Superiore della Magistratura.
Vale a dire che tutti gli organi di controllo e vigilanza potrebbero essere indirizzati dalle volontà politiche della maggioranza assoluta. D’altra parte, proprio la naturale propensione a esondare di chi esercita il potere è a fondamento della divisione dei poteri, con il corollario scolpito nella formula “solo il potere arresta il potere” (Montesquieu).
La ricerca di un equilibrio tra gli organi costituzionali, dunque, è “una legge eterna” che deve essere sempre tenuta presente.
L’equilibrio è ancora oggi la regola di fondo che qualifica i diversi tipi di democrazia. Da interpretare in modo ancora più rigido (come separazione dei poteri e non solo divisione) nei casi di quelle forme di governo che scelgono l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo, fa notare Gaetano Azzariti.
Quanto al merito della proposta di revisione costituzionale, non si può non rilevare la concreta diminuzione dei poteri del Presidente della Repubblica: non avrà più alcun potere di scioglimento delle Camere o almeno di una di esse (modifica art. 88 Cost), non nominerà più i senatori a vita (da alcuni ritenuti un’inutile costo per la democrazia) e, soprattutto, non nominerà più, in caso di crisi politica della coalizione di governo, il Presidente del Consiglio sulla base di una nuova maggioranza politica costituitasi in Parlamento.
Da tempo assistiamo, infatti, all’esautoramento delle assemblee elettive attraverso il sistematico ricorso da parte di ogni governo alle procedure di “necessità e urgenza”, ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione, che legittimano decreti legge destinati, semplicemente, a essere ratificati dal Parlamento, oppure, mediante l’adozione di leggi delega (si pensi recentemente a quella sull’Autonomia differenziata) che limitano, completamente, il potere legislativo da parte delle Camere.
Oggi sarebbe necessaria, viceversa, la riappropriazione del potere legislativo da parte delle Camere, limitando il dominio del governo sull’attività parlamentare e ponendo fine alla degenerazione della decretazione d’urgenza.
Infine, due osservazioni di rilievo politico: la controriforma proposta è frutto di una cultura politica estranea ai valori della Resistenza, valori raccolti dal lavoro dell’Assemblea Costituente che elaborò, fra il 1946 e il 1947, la proposta politico-istituzionale, dopo anni di dittatura, proprio della forma di governo parlamentare.
La proposta, per dirla con Gustavo Zagrebelsky, si richiama, invece, a quella che da noi si è detta “democrazia decidente o democrazia d’investitura”. Si vota una volta ogni cinque anni, c’è chi vince e, avendo vinto, salva la litigiosità interna alla compagine trionfante, disporrà di un tempo che potrà scorrere liberamente.
E c’è chi è stato vinto e, come tale, sarà messo a tacere fino alle successive elezioni.
“Abbiamo vinto, fatevene una ragione” è l’espressione spesso rivolta ai perdenti. In questa condizione servile, sempre secondo Zagrebelsky, non sono solo coloro che hanno votato la parte sconfitta, ma anche quelli che sono stati dalla parte vincente: anch’essi, infatti, non potranno far sentir la loro voce, addirittura per cinque anni.
Non funziona così, non può funzionare così: questa cultura può appartenere solo alle democrazie autoritarie non a quelle realmente rappresentative, alle tante oligarchie in giro per il mondo, alle quali sembra che anche da noi ci si voglia accodare.
Nell’ipotesi auspicabile che la legge di revisione costituzionale proposta sia approvata con la maggioranza semplice, occorrerà promuovere il referendum oppositivo con le procedure previste dall’articolo 138 della Costituzione.
Non sarà, certamente, una battaglia semplice: la semplificazione della proposta politica contenuta in questo disegno di legge costituzionale è evidente. Il messaggio governativo è questo: “Inauguriamo così la quarta repubblica” è il mantra politico ,… siete voi a favore della stabilità di governo e dell’abolizione dei senatori a vita? Questo potrebbe essere scritto, invece, sulla scheda del quesito referendario sottoposto al voto dei cittadini e delle cittadine.
I senatori a vita, vengono scelti per i loro meriti scientifici, per il loro operato e non possono certamente essere considerati un costo per la democrazia.
Scegliamo noi chi comanda, l’idea che il cittadino scelga e quindi esercita un voto utile non è facile da smantellare soprattutto fra gli elettori meno informati. La parola d’ordine non deve essere l’elezione diretta del primo ministro lontano e irraggiungibile, ma di un parlamentare capace e rappresentativo cui possiamo efficacemente chiedere di portare la voce nei luoghi del decidere. Saper comunicare ricollegando i problemi della democrazia istituzionale alla vita di tutti i giorni, tramite strumenti che diano soluzioni ai problemi del lavoro, dei salari poveri, della precarietà crescente, del reddito, della casa, dei diritti civili, della pace e della guerra.
Occorre pertanto dare vita, senza ritardo, a una rete civica di forme associative, e comitati, volti a costruire con chi è disponibile radicamento e consapevolezza nel confronto referendario che verrà. Una battaglia democratica aperta, leale, ampiamente unitaria di tutte le forze impegnate, in difesa della Costituzione repubblicana e per la sua attuazione.
Marco Sereno Dal Toso, avvocato del Foro di Milano
Pubblicato venerdì 5 Gennaio 2024
Stampato il 23/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/elezione-diretta-del-premier-perche-la-democrazia-rischia-grosso/