Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un’escalation di episodi repressivi da parte delle forze dei polizia nei confronti delle proteste studentesche: Torino, Roma, Napoli, Firenze, Pisa, Catania. Episodi di protesta e dissenso che hanno avuto come comune denominatore una durissima risposta del governo Meloni. Una risposta che riteniamo profondamente sbagliata, per questo ci riconosciamo nelle parole del Presidente Mattarella «Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».
Proviamo a riflettere sulla causa di questa escalation, premettendo che escludiamo si tratti di un problema di professionalità delle stesse forze dell’ordine perché rispetto al passato sulla gestione dell’Ordine Pubblico ci sono state innovazioni tecniche e crescite professionali che fanno certamente escludere tale ipotesi. Tuttavia non dimentichiamo i momenti dove si è temuta, e denunciata, una marcia indietro.
Dopo i drammatici fatti del G8 di Genova del 2001, nel 2008, per volere dell’allora Capo della Polizia prefetto Manganelli, è stata inaugurata a Nettuno una scuola di formazione per l’Ordine Pubblico, che si prefiggeva di chiudere definitivamente con le “notti cilene” anche attraverso la formazione dei dirigenti e del personale di polizia per intervenire con professionalità in caso di eventi di piazza al fine di garantire il diritto a chi manifesta di esprimere il proprio dissenso. Una professionalizzazione della gestione della piazza che riguardava anche la gestione dello stress e che aveva l’obiettivo di indirizzare la Polizia nella direzione opposta rispetto al G8 di Genova. Cosa peraltro sostanzialmente avvenuta negli anni successivi.
Sul piano formativo ovviamente si può sempre fare di più e la formazione potrebbe essere estesa anche agli aspetti sociali che portano i cittadini nelle piazze, perché avere cognizione delle ragioni degli altri aiuta il dialogo e può consentire a disinnescare le tensioni. In questi mesi però le condizioni politiche, sociali e culturali sembrano nuovamente mutate.
Fin dall’insediamento il governo Meloni ha iniziato a disegnare la sua cornice culturale repressiva con l’introduzione di nuove fattispecie di reato e l’inasprimento di pene per alcuni reati esistenti, tutto con il chiaro obiettivo di blindare l’azione di governo soffocando qualsiasi forma di disturbo:
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il provvedimento anti-rave ha trasformato un fenomeno sicuramente marginale nell’emergenza momentanea del Paese, puntando solo a introdurre una specifica fattispecie con pene elevatissime;
- il decreto Cutro invece ha confermato la visione della destra che continua a criminalizzare il fenomeno migratorio, attraverso un’ulteriore penalizzazione al sistema dell’accoglienza, un restringimento dei divieti di espulsione in caso di gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie, la previsione di norme che rendono più complicato l’accesso alla protezione internazionale e il restringimento sulle procedure di richiesta e di ricorso; tutto inserito nel precedente contesto generale di rendere sempre più difficile l’attività umanitaria delle ONG con l’assegnazione di porti lontanissimi. Nella stessa direzione si colloca il recente accordo con l’Albania per esternalizzare la gestione del fenomeno migratorio;
- il decreto Caivano con il quale si risponde all’emergenza sociale solo con interventi repressivi, senza affrontare le cause che sono alla base del degrado sociale di alcune aree urbane, con l’arresto in flagranza del minore in caso di spaccio, il DASPO urbano o la colpevolizzazione educativa dei genitori dei minori;
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il nuovo pacchetto sicurezza, con i 3 disegni di legge, segue la stessa linea con norme atte a limitare le proteste ambientaliste esercitate con i blocchi stradali e con l’imbrattamento dei muri e ammicca alle forze dell’ordine prevedendo l’aggravante di pena in caso di violenta minaccia e offesa al pubblico ufficiale se commessa nei confronti delle forze di polizia e l’inutile norma per consentire a quegli stessi operatori di portare un’arma privata oltre a quella di servizio. Non sarà sfuggito il contrasto culturale del governo al Green Deal e alla transizione ecologica europea, con una nuova stagione di attenzione ai temi ambientali che vedono la partecipazione crescente dei giovani, verso i quali si stanno adottando misure repressive e scoraggianti con l’obiettivo di silenziarli e costringerli ad accettare silenti il futuro deciso da altri.
L’abrogazione del reato di tortura riporterebbe il Paese indietro di anni, nel medioevo giuridico dei diritti umani.
Il clima sociale che si è creato sta aumentando il rischio di una deriva repressiva e questa non può essere liquidata con l’imbarazzante comunicato ufficiale dopo la violenza di Pisa, nel quale si parla di “Difficoltà Operative”. Con i ragazzi che manifestano e protestano senza violenza, a volto scoperto e in molti casi minorenni, si parla, si dialoga e non si usa il manganello. Le immagini di venerdì 23 febbraio a Pisa non lasciano dubbi sulla reazione sproporzionata della risposta della Polizia a una piccola manifestazione studentesca.
Come possiamo uscire da questa impostazione? Sicuramente lavorando sul piano culturale, contrastando le derive autoritarie del governo, pretendendo che sia rispettato il diritto al dissenso, alla protesta pacifica, alla manifestazione delle idee e sollecitare il dialogo con chi scende in piazza: studenti preoccupati per la pace del mondo o per il loro futuro sempre meno green, lavoratrici e lavoratori che chiedono lavoro oppure cittadini che chiedono l’allargamento dei diritti civili.
Dialogare significa anche prevenire per evitare l’innesco dal quale poi scaturisce la repressione. Una delle strade percorribili è la sottoscrizione di mirati protocolli con gli istituti scolastici superiori per consentire al personale di polizia di dialogare con gli studenti sulle modalità che disciplinano le manifestazioni.
La maggior parte di loro non sa che non occorrono autorizzazioni per esprimere pacificamente le proprie idee, ma occorre preventivamente comunicare l’iniziativa di protesta; un passaggio comunicativo fondamentale che già potrebbe disinnescare molte situazioni classificate anche impropriamente dai media come “manifestazioni non autorizzate”, che andrebbe invece corretto in “non preventivamente comunicate”.
Rispetto ai diritti di chi manifesta e quali sono i limiti dell’ordine pubblico vale la pena citare alcuni contenuti del documento di Magistratura Democratica: “Secondo l’articolo 17 della Costituzione, i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi e per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. L’articolo 18 della legge in materia di sicurezza pubblica prevede, è vero, l’obbligo per i promotori di una di riunione in luogo pubblico di darne avviso almeno tre giorni prima al questore, ma l’omesso avviso non rappresenta una condizione di illegittimità della riunione né un’automatica presunzione di pericolo per l’ordine pubblico. All’omissione dell’avviso, infatti, consegue solo la facoltà (non l’obbligo), per il questore, di ordinare lo scioglimento della riunione. Tale facoltà, incidendo su un diritto costituzionalmente garantito, deve essere di stretta interpretazione, il che significa, in primo luogo, che il motivo dello scioglimento deve rigorosamente inerire a ragioni di sicurezza e non al merito o al tema della manifestazione”.
A Pisa si è verificato che i giovani manifestanti hanno tentato di uscire dal percorso concordato e preventivamente comunicato, aspetto che ha portato alla reazione del contingente di polizia. Le prime versioni della Polizia hanno parlato di carica di alleggerimento ma è di tutta evidenza che l’azione repressiva si è spinta ben oltre, testimoniando una vera e propria caccia allo studente, segno che l’azione di alleggerimento aveva raggiunto il proprio obiettivo, peraltro agita con particolare animosità e violenza con alcuni colpi di manganello ripetutamente inflitti alle persone già in fuga e verso parti del corpo che non dovrebbero essere comunque oggetto dell’azione di repressione.
Il clima politico attuale e la divisione del Paese consentono, vergognosamente, ai media governativi e ai politici di destra di scaricare le responsabilità sugli studenti di Pisa, accusati di non aver rispettato le regole, assicurando, nel contempo, la solidarietà alle forze di Polizia, anche quando sbagliano, con il rischio di favorire la spirale repressiva sociale.
L’adozione delle bodycam per il personale di polizia dei Reparti Mobili nei servizi di Ordine Pubblico aveva forse illuso anche le componenti sindacali più democratiche sulla possibilità di rinunciare alla battaglia di civiltà per introdurre il numero identificativo; valutazione naufragata con l’escalation di piazza di questi mesi.
Occorre coinvolgere le componenti democratiche del Paese per superare definitivamente il “tabù sui codici identificativi” che, nonostante la richiesta del Parlamento europeo del 12 dicembre 2012 rivolta agli Stati membri per garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo, continua a non trovare soluzione. Nel corso degli anni sono stati presentati diversi disegni di legge, in alcuni casi anche di difficile attuazione tecnica, in altri poco rispettosi delle lavoratrici e dei lavoratori interessati, per questo sarebbe auspicabile una riflessione collettiva, coinvolgendo anche operatori del settore, per convergere su una sola proposta di legge concentrando su questa l’azione civile e politica.
Per essere realisti, con questo Parlamento sarà difficile raggiungere una maggioranza sul tema; per questo si potrebbe ipotizzare il percorso di una legge d’iniziativa popolare, per rendere l’argomento tema di discussione e partecipazione, sociale e civile, partendo dal modello tedesco. Tale modello prevede un velcro e numeri che cambiano a ogni servizio, assegnati a rotazione casuale fra più squadre e identificativi di reparto e squadra, non personali. Una volta individuata la squadra, indentificare il singolo operatore è facilissimo, obiettivo che è alla base dell’introduzione del numero identificativo. Questo modello ha il vantaggio di essere già attuato in Europa, evita di “marchiare” gli agenti con un numero e consentirebbe di smontare tutte le argomentazioni utilizzate da chi vi si oppone da anni.
Dobbiamo rammentare quale era il clima che caratterizzò il G8 di Genova, la pericolosa criminalizzazione mediatica e culturale del movimento No Global, la creazione della zona rossa, la presenza di esponenti del governo nella sala operativa che gestiva il G8, i quali fornirono la copertura politica alla gestione dell’Ordine Pubblico, e che provocò le drammatiche giornate di Genova.
Nel prossimo mese di giugno, in Puglia, si terrà il G7 organizzato sotto la Presidenza del nostro Paese. Oggi le condizioni sono diverse, ma è di nuovo altissimo il rischio che la cornice culturale che da tempo si sta disegnando per reprimere dissenso e proteste possa portare a rivivere i fantasmi del passato.
Pubblicato sabato 2 Marzo 2024
Stampato il 05/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/cittadinanza-attiva/contro-gli-studenti-non-difficolta-operative-ma-il-disegno-del-governo-meloni-di-chiudere-spazi-al-dissenso-pressioni-sul-personale/