La Calabria e i calabresi non godevano – si fa per dire – di tanta visibilità mediatica da tempi immemori. Così abituati a vivere nella precarietà economica, sociale, sanitaria, che senza i danni collaterali del covid nessuno si sarebbe premurato di chiedersi come stanno, di cosa hanno bisogno i due milioni di abitanti di questa Regione. Per troppo tempo la questione meridionale, figuriamoci quella calabrese, è scomparsa dall’agenda politica e le rare volte in cui ha suscitato qualche interesse il tutto si è fermato alle vicende criminali e ndranghetiste. Come se le donne e gli uomini di questa terra non debbano avere nessuna speranza per l’affermazione dei loro costituzionali diritti. Ci voleva la pandemia per mettere a nudo la debolezza del sistema sanitario. Ci voleva la televisione, le inchieste giornalistiche con le patetiche ancorché gravi ammissioni dell’ex commissario Cotticelli per squarciare un velo sul disastro calabrese.
Perché questo è successo quando tutti sapevano della sanità calabrese commissariata da oltre dieci anni; un piano di rientro senza nessun effetto che ha addirittura triplicato il deficit, a cui si somma nello stesso periodo una spesa sanitaria per curarsi fuori Regione arrivata all’enorme cifra di 329 milioni di euro.
Non che non ci siano state in questi anni voci isolate e inascoltate di medici, studiosi, esperti, attenti a denunciare i rischi della situazione. L’idea dura a morire dell’uomo solo al comando, meglio se un militare, ha prodotto questi risultati. La breve premessa serve alla comprensione dei fatti delle ultime settimane.
Tre commissari nominati e decaduti in pochi giorni. L’invocazione al fondatore di Emergency di dare una mano ai malati calabresi. Ed è una situazione che, al momento in cui scriviamo, rimane senza nomina del nuovo commissario, lasciando nell’incertezza un’intera Regione. Nessuno si sente di minimizzare il peso del clientelismo famelico; degli interessi dei privati; del ruolo della criminalità e il suo legame con ampi settori della politica.
L’ultima inchiesta della Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Gratteri ha portato alla luce la commistione tra malaffare e politica, proprio su questioni sanitarie, sino a giungere all’arresto del presidente del Consiglio regionale.
Le responsabilità delle classi dirigenti in Calabria sono chiare e senza attenuanti. Così come a volte un certo torpore, almeno di parte della società civile, ha lasciato fare.
Detto questo non è moralmente accettabile, in ogni caso, far pagare le conseguenze di scelte scellerate ai malati per il solo fatto di essere nati in Calabria. Nelle ultime settimane vi è stato un significativo risveglio delle coscienze con varie manifestazioni concentrate nel rivendicare il diritto alla salute, un’efficiente ed efficace sanità pubblica.
Non abbiamo suggerimenti da dare, non spetta a noi entrare nel merito di aspetti organizzativi e modelli sanitari. Come stiamo dicendo da più tempo l’articolo 32 della Costituzione deve trovare piena attuazione anche in Calabria. Non ci sottraiamo alle nostre responsabilità di cittadini e cittadine ma è del tutto evidente che in questa fase spetta al governo indicare una via d’uscita.
Il nuovo commissario, ovvero una persona competente al di sopra di ogni altro interesse, dovrà mettere mano alle criticità provocate dalla pandemia con uno sguardo complessivo alle esigenze di tutte le altre patologie, che sono tante e più numerose di altre regioni. Rafforzare i presidi ospedalieri, la sanità territoriale ci pare il minimo per ricostruire un clima di fiducia tra cittadini e istituzioni.
Non c’è altro tempo da perdere, il livello di sopportazione ha raggiunto livelli di guardia. Chi pensa di far passare la nottata – il covid – poi tutto come prima questa volta si sbaglia.
Mario Vallone, coordinatore Anpi Calabria, componente del Comitato nazionale Anpi
Pubblicato giovedì 26 Novembre 2020
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