Il 23 settembre scorso, alla fine di un lungo processo, il colosso dell’auto Volkswagen ha concordato il versamento di una somma, circa  5 milioni e mezzo di euro, a titolo di riparazione per essere stata complice della dittatura militare: in cambio di una “politica salariale conveniente” agevolò la persecuzione degli oppositori del regime che lavoravano nella controllata brasiliana.

Riassumo la vicenda in base al materiale organizzato dal centro IIEP (Intercâmbio, informações, estudos e pesquisas) di San Paolo.

Lo stabilimento Volkswagen brasiliano negli anni 60

La transazione (in portoghese Termo de ajustamento de conduta, in sigla TAC) discende dalla richiesta delle organizzazioni dei lavoratori ed è in favore della democrazia e dei cittadini della società civile. Sono stati loro a chiedere un’indagine giudiziaria per accertare le responsabilità della Vokswagen do Brasil nelle violazioni dei diritti umani compiuti fra il 1964 e il 1985, periodo in cui il Paese visse il regime dittatoriale. Emblematico è il fatto che Franz Paul Stangl comandante prima dei campi di sterminio di Sobibór e Treblinka in Polonia, poi incaricato della Risiera di San Sabba a Trieste e in seguito inviato a Udine e Fiume, abbia lavorato per ben otto anni fra 1959 e 1967 alla Vokswagen do Brasil.

Franz Stangl, il boia di Treblinka

Sebbene fosse ricercato internazionalmente, Stangl non dovette neppure cambiare generalità quando giunse in Brasile nel 1951. Catturato in Austria nel dopoguerra era riuscito a scappare dall’Europa attraverso l’Italia, complice la ratline, “linea dei ratti”, la rete che permise a molti criminali nazisti di trovare rifugio soprattutto in America Latina.

Vi era dunque la necessità di approfondire le indagini su tutti i cittadini tedeschi assunti dall’impresa in Brasile. Per questo il 22 settembre 2015 le 10 centrali sindacali del Brasile, sindacati, presidenti di commissioni e comitati per la verità, IIEP, giuristi, militanti dei diritti umani, un gruppo di lavoratori danneggiati dalla Volkswagen presentarono con dossier di 500 pagine un’istanza alla magistratura federale (in Brasile è il Ministero pubblico federale/MPF) sollecitando riparazioni collettive per violazioni di diritti umani contro la classe lavoratrice.

Venne quindi istituita una indagine per appurare la responsabilità della Volkswagen do Brasil in gravi violazioni di diritti umani di lavoratori all’interno degli impianti industriali, in diretta collaborazione con gli organi statali di repressione della dittatura militare.

L’istanza era il frutto delle indagini compiute dal gruppo di lavoro “Dittatura a repressione dei lavoratori, delle lavoratrici e del movimento sindacale” della Commissione nazionale della verità/CNV, coordinato dal Rosa Cardoso, insieme alla IIEP e a dirigenti sindacali. Il gruppo di lavoro ha prodotto un libro bianco, divenuto il capitolo 22, nel volume II della Relazione finale della Cnv. A questo si è aggiunto il contributo della Commissione della verità dello Stato di San Paolo, intitolata a Rubens Paiva (deputato federale assassinato dalla dittatura e a tutt’oggi fra gli scomparsi), che ha destinato una parte di attività alla repressione della classe lavoratrice. Dopo la chiusura della Commissione nel dicembre 2014 lo IIEP ha continuato le indagini nell’ambito dell’iniziativa politica del Fórum de trabalhadores e trabalhadoras por verdade, justiça e reparação/Forum di lavoratori e lavoratrici per verità, giustizia e riparazione, che riunisce centrali sindacali e sindacati impegnati nella continuazione della ricerca.

Specificamente l’istanza ha chiesto alla giustizia brasiliana un’indagine e un chiarimento del coinvolgimento diretto e della complicità imprenditoriale della Volkswagen do Brasil.

Il corpo di sicurezza interno alla Volkswagen do Brasil (da https://www.redebrasilatual.com.br/wp-content/uploads/2017/07/de34ec8c-3d3b-4ff1-8722-4e20998c6a83.jpeg)

Sono seguiti incontri con incaricati dell’impresa automobilistica. Già nel 2015 erano stati depositi i risultati dello storico Manfred Grieger a cui si aggiunse due anni dopo la memoria dello storico tedesco Christopher Kopper, incaricato dalla Volkswagen. Docente dell’Università di Bielefeld, Kopp aveva documentato che attraverso i servizi di sicurezza interni agli stabilimenti brasiliani erano state stilate liste di proscrizione ed almeno sette lavoratori erano stati arrestati e avevano subito violenza durante la detenzione. Il gruppo automobilistico tedesco, in altre parole, aveva accettato di far luce su quel passato.

Il 6 marzo 2018 è stata fondata l’Associazione Henrich Plagge-associazione delle lavoratrici e dei lavoratori della Volkswagen do Brasil vittime di persecuzioni politiche ed ideologiche” nel periodo della dittatura. Con la costituzione dell’Associazione, è entrato in agenda anche il tema della compensazione finanziaria individuale del lavoratori.

Manifestazione a Rio de Janeiro nel 1968 ( Foto: Arquivo Fotografico do Arquivo Nacional)

Nello stesso mese il Mpf fissò quattro assi fondamentali di negoziazione con l’impresa per riparare le violazioni commesse: il riconoscimento pubblico e le scuse della società automobilistica per le responsabilità nelle violazioni di diritti umani; l’istituzione di un centro di memoria dei lavoratori; la creazione di un fondo per finanziare indagini sulla partecipazione di altre imprese che avevano collaborato con la dittatura; e infine pagamenti di indennizzi individuali.

Nel corso del 2019 si è cercato un luogo in cui costruire il Centro di memoria dei lavoratori. Inizialmente vi era consenso per utilizzare la sede del DOI-CODI nella Rua Tutoia 921 a San Paolo, luogo simbolo di tortura e assassinio della repressione politica della dittatura. Trasformare quel teatro di morte in una postazione di memoria è l’obiettivo storico degli ex detenuti politici e dei famigliari dei morti e degli scomparsi. Di fronte alla non disponibilità del governo dello Stato di San Paolo a cui appartiene l’edificio si è cercata una soluzione presso il Comune. Che si è concretizzata nell’aprile di quest’anno: grazie alla segreteria della Giustizia del Comune di San Paolo si decise di realizzare il centro di memoria dedicato ai lavoratori perseguitati nella Galeria Prestes Maia in pieno centro di San Paolo. La trattativa  era stata portata avanti dal direttore dello IIEP Sebatião Neto e dall’ex presidente dalla Commissione della verità statale, Adriano Diogo. Tutto bene, dunque? Niente affatto.

Il 13 aprile 2020 lo IIEP veniva convocato presso il Ministero pubblico per tracciare un modello di ripartizione dei fondi di indennizzo. In modo imprevisto le risorse originariamente destinate alla realizzazione del centro di memoria dei lavoratori venivano ripartite fra il Memorial da Luta por Justiça gestito dalla Organizzazione degli avvocati del Brasile, OAB-SP, sezione di San Paolo, il Centro di Archeologia e antropologia forense (CAAF), dalla Unifesp (che svolge un importante lavoro di localizzazione e identificazione di ossa degli assassinati politici, in particolare nelle fosse comuni del cimitero di Perus), e dal Fundo de Defesa dos Direitos Difusos insieme al Fundo Estadual de Defesa de Interesses Difusos e Lesados, che fanno capo al ministero della Giustizia.

La Galeria Prestes Maia di San Paolo do Brasil

Dunque qualche cosa di completamente diverso da quanto previsto, che eliminava di fatto l’omaggio ai lavoratori rappresentato dal centro di memoria; lo IIEP respingeva quindi la proposta, esigendo il centro di memoria e accettando il finanziamento al Memoriale dell’OAB e al CAAF. Inoltre il Mpf proponeva di denominare “donazione” la modalità attraverso la quale la Volkswagen era disposta a riparare le violazioni dei diritti umani di lavoratori commessi in cooperazione con le forze militari e di polizia del regime militare, modificando completamente il significato della trattativa. Nonostante lo IIEP avesse impugnato il provvedimento il 23 settembre, ha chiuso l’accordo di transazione. Ancora una volta, lo IEEP ha presentato ricorso con l’appoggio di un ampio fronte di forze sindacali e della società civile.

Questa vicenda travalica il caso specifico. Afferma che il tempo non cancella i crimini, non garantisce l’impunità né l’anonimato e non anestetizza la memoria. Apre la necessità di chiarire e assumere definizioni più precise su giustizia di transizione, differenza qualitativa e politica fra indennità e riparazione, la non opportunità di usare il termine “donazione” per denominare un obbligo, la necessità di dichiarare in modo chiaro e non equivocabile il riconoscimento di una responsabilità esplicita di avere compiuto atti lesivi dei diritti umani e di molti codici. Nel caso specifico del Brasile nella vicenda della Volkswagen do Brasil va tenuto presente che l’attuale governo del signor Bolsonaro nega la dittatura militare, esalta la tortura, elogia i torturatori. L’incertezza nell’accettare la costruzione di un luogo di memoria dei lavoratori riflette il timore diffuso nella società brasiliana di creare un precedente. E se poi si chiedesse la riparazione per la schiavitù e magari un luogo di memoria? L’ordine sociale potrebbe vacillare… L’insieme dell’impostazione della transazione con la casa automobilistica forse vuole evitare possibili altre istanze simili relative ad altre imprese (sarebbe circa ottanta le aziende straniere coinvolte)? Costruire un modello di “donazione” al posto di “riparazione” rischia inoltre di essere applicabile anche ad altri casi in cui i diritti umani vengono calpestati, ad esempio per gli immani crimini ambientali che devastano la popolazione civile.