In un momento dei lavori del gruppo “Formazione” dell’Anpi nazionale

Dal 13 al 15 gennaio scorsi, nella sede dell’Anpi nazionale, si è svolto il primo “Seminario di alta formazione” riservato ai componenti dell’omonimo gruppo coordinato da Paolo Papotti e Ferdinando Pappalardo e incentrato sui due temi-cardine attorno ai quali da sempre si sviluppa l’attività della nostra associazione: antifascismo e Costituzione.

La prima sessione del seminario ha tracciato le finalità dell’iniziativa, le premesse metodologiche e il contesto storico-politico in seno al quale la Carta costituzionale è stata elaborata, con un focus dedicato alle culture dell’antifascismo e al loro apporto alla formulazione dei principi fondamentali della Carta, affidato a Valerio Strinati.

Brigata partigiana in Piemonte durante un momento di svago

Se il fascismo non ha rappresentato un accidente della storia, bensì l’“autobiografia della nazione” (Gobetti) e un “regime reazionario di massa” (Togliatti), che non si è limitato a reprimere, ma ha riorganizzato lo Stato, la Resistenza può essere considerata il momento di rinascita della Patria e di un rinnovato senso di appartenenza nazionale, fondato sull’antifascismo come nuova religione civile, basata sulla riacquistata centralità della dignità dell’uomo.

Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano. Ricordatevi che la democrazia non è soltanto un rapporto fra maggioranza e minoranza, non è soltanto un armonico equilibrio di poteri sotto il presidio di quello sovrano della Nazione, ma è soprattutto un problema di rapporti fra uomo e uomo”, così il presidente dell’Assemblea costituente, Giuseppe Saragat, il 26 giugno del 1946, in occasione dell’avvio dei lavori di redazione della Carta.

La centralità della persona – con il corollario dei diritti inviolabili che a essa lo Stato riconosce – può, dunque, essere considerata la cifra distintiva dell’intero testo costituzionale e, in particolare, della sua prima parte, che prende le mosse dall’enunciazione dei principi fondamentali, sull’analisi di alcuni dei quali si sono articolate le relazioni.

Una dignità riconquistata a partire dal ruolo riconosciuto al lavoro come fondamento della Repubblica, indagato – nella sua dimensione etica, economica e di autorealizzazione personale – dalla prof.ssa Olivia Bonardi, ponendo in luce come dell’“etica del lavoro” – inteso tanto quale diritto quanto come dovere di contribuire al progresso materiale e spirituale della società – sia intrisa la Costituzione, dal cui dettato emerge che i diritti sociali sono funzionali a garantire i diritti di libertà.

(Imagoeconomica)

Un lavoro oggi impoverito e precarizzato, attraverso il depotenziamento della contrattazione collettiva e la moltiplicazione delle forme contrattuali, complici la globalizzazione, la trasformazione digitale e il mutato quadro economico-sociale.

Lavoro e democrazia: le parole della rinascita, oggi entrambe in crisi.

Di “democrazia dimezzata” e di “democrazia senza” (senza popolo, senza Parlamento, senza discussione, senza politica) ha parlato il prof. Gaetano Azzariti, suddividendo la storia repubblicana in due parti: il “trentennio d’oro”, culminato negli anni Settanta e caratterizzato dall’attuazione dell’“utopia concreta” della Carta, seguito da 45 anni di “lungo regresso”, coincidenti con la stagione delle “grandi riforme costituzionali” fallite: dalla Commissione Bozzi, passando per la I e la II Bicamerale, fino al naufragio delle riforme costituzionali di Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, grazie ai referendum. Senza dimenticare gli esiti delle riforme apparentemente “riuscite”: dalla confusa revisione del Titolo V (oggi rinnegata dai più), passando per il pareggio di bilancio (mai realmente attuato), fino alla riduzione del numero dei parlamentari, di troppo recente introduzione per valutarne a pieno gli effetti.

E ora è la volta dell’“autonomia differenziata”, sottoposta, nel corso del seminario, a puntuali critiche dal prof. Massimo Villone, in quanto suscettibile di ledere  il principio di unità e di indivisibilità della Repubblica, “spacchettando il Paese in tante repubblichine”, nonché di inasprire il divario territoriale Nord-Sud e le diseguaglianze.

(foto Anpi Brindisi)

Stiamo assistendo ormai da tempo ad un progressivo allontanamento dalla lettera e dallo spirito della Costituzione, a partire dai suoi principi fondamentali che rappresentano “una polemica rispetto al fascismo”, per parafrasare le parole del presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky, al quale è stata affidata la disamina dell’art. 11 della Carta; una disposizione che ha mirato a sovvertire l’idea che la guerra sia connaturata alla politica e all’uomo e che ha indicato gli strumenti per bandirla dall’ordinamento giuridico, seppur con la consapevolezza che, quando “il diritto non risolve tutto”, a essere chiamata in causa è la nostra responsabilità.

Quest’ultimo vocabolo oggi assume una declinazione nuova anche in chiave “transgenerazionale”.

(Imagoeconomica)

Alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi “anche nell’interesse delle future generazioni” fa, infatti, esplicito riferimento il nuovo testo dell’art. 9 della Costituzione, dall’analisi del quale ha preso le mosse la relazione del prof. Maurizio Malo, che ha offerto l’opportunità di riflettere sulla rilevanza per la nostra associazione di un tema – quello ambientale – che interseca salute, opportunità di creare nuovi posti di lavoro grazie alla transizione ecologica e tutela del paesaggio. Per parafrasare le parole di Peppino Impastato, educare alla bellezza per fornire “un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”.

Da qui la consapevolezza della missione primaria dell’Anpi: contribuire alla ricostruzione culturale del Paese, per contrastare una grammatica politica insidiosa intrisa di revisionismo e, oggi, di populismo storico, come brillantemente illustrato da Davide Conti.

Se è urgente continuare a “fare memoria”, serve dotarsi di strumenti efficaci e adatti a toccare nel profondo soprattutto i più giovani.

Seguendo il suggerimento del prof. Raffaele Mantegazza è, dunque, importante “parlare ai corpi e alle emozioni” perché, nonostante il tempo trascorso, “antropologicamente non siamo cambiati”.

Di fronte alla progressiva scomparsa dei testimoni, l’Anpi deve imparare a “raccontare i racconti”, ponendo al centro della narrazione il valore etico-morale della scelta che – al di là delle differenze specifiche – accomuna l’adesione alla Resistenza, eternandone il significato, ed è in grado di spiegare perché quell’esperienza continua a parlare anche a noi, uomini e donne di oggi.

Foto di gruppo alla conclusione della tre giorni

Nel dibattito finale e nelle riflessioni conclusive del presidente Pagliarulo si è così riassunto il compito dell’Anpi, come emerso anche in occasione dell’ultimo congresso: rilanciare l’antifascismo come “teoria dello Stato che si incardina nella Costituzione”.

Fare dell’Anpi un “intellettuale collettivo” per ri-alfabetizzare costituzionalmente il Paese (a partire dalle scuole e dai luoghi di lavoro), per riportare nel cuore di tutti e tutte quella Costituzione che iniziò ad essere immaginata sulle montagne, prima ancora di essere scritta tra i banchi dell’Assemblea Costituente.

Francesca Parmigiani, componente Comitato nazionale Anpi