Se ne stanno andando uno a uno gli ultimi partigiani.
Ottanta anni fa erano appena usciti dalla scuole fasciste in cui avevano imparato che l’occhio benevolo del duce li seguiva in ogni momento della loro vita, e per questo a “Lui” dovevano fiducia, devozione e obbedienza. Erano coloro i cui padri e fratelli non erano tornati dalla lontana Russia, quelli che videro le città martoriate, i roghi dei paesi, quelli che si trovarono nella feroce tenaglia italo-tedesca, e di fronte a ciò fecero “la scelta”.
Da poco se n’è andato Tullio Collodet, carico dei suoi 102 anni e dei ricordi di quando si schierò in quella che chiamava “la parte giusta”, e a 95 anni se n’è andato Alessandro Scanagatti, partigiano deportato a Mauthausen. A 98 anni è morto Francesco Gnecchi Ruscone che fu torturato a Milano nell’Albergo Regina sede del comando nazista, ed è morto Angelo Romele che, a 16 anni, partecipò alla battaglia di Lanzo torinese. Ci hanno lasciati, non è molto, Carlo Bertaina, 98 anni, che dopo l’eccidio di Boves del settembre 1943 salì in montagna con altri undici giovanissimi compagni, e Antonio Amoretti che nello stesso mese del 1943, a 16 anni, fu tra i combattenti delle Quattro giornate di Napoli. È morto Mario Allegri, che a quindici anni diventò staffetta partigiana e poi entrò nella Divisione Valdossola perché “voleva un mondo giusto e pacificato”. Se n’è andata Gisella Giambone, 92 anni, che entrò senz’armi nella Resistenza correndo gli stessi rischi dei combattenti. Suo padre il 5 aprile del 1944 le aveva scritto: “Cara Gisella, quando leggerai queste righe il tuo papà non ci sarà più. Il tuo papà è stato condannato a morte per le sue idee di giustizia e di uguaglianza”.
Quando se ne saranno andati tutti, forse ci sentiremo più soli. Ma Franco Fortini, letterato e partigiano, nel 1946 scrisse: “Ma noi s’è letta negli occhi dei morti/E sulla terra faremo libertà./Ma l’hanno stretta i pugni dei morti/La giustizia che si farà”. È Il canto degli ultimi partigiani.
Quelli che se ne sono andati sono ancora qui con noi, nella chiarezza di un patto che affonda le radici nel loro tempo e proclama una libertà che non può piegarsi davanti ai potenti di turno, e la giustizia di un bene comune fondato sul lavoro e non sui privilegi di sesso, di razza, di lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
Oggi come ieri, nel nostro tempo è questo il patto, fino a quando ci sarà chi non si sottomette alla cieca legge del mercato, chi non disumanizza gli oppressi, non si rassegna alle ingiustizie, al crollo delle speranze, non accetta la corrosione della nostra Costituzione e la guerra come ineluttabile destino.
Se questo è, ieri come oggi il 25 aprile è ancora un giorno del futuro. Per dignità, non per odio.
Pubblicato venerdì 21 Aprile 2023
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