Il 15 ottobre 1944 era una domenica. A Villamarzana, preso Rovigo, gli ostaggi rinchiusi nella bottega del barbiere furono fatti uscire a gruppi di sei e poi fucilati dal plotone d’esecuzione formato da militi repubblichini. Fascisti che forse si proclamavano italianissimi, ma che assassinarono 41 italiani, molti dei quali patrioti, partigiani. Tantissimi erano ragazzi, alcuni ragazzini, due di 15 anni, altri di 16, 17, 18 anni. Per diversi, prima della fucilazione, la tortura. Non bastavano. Il quarantaduesimo fu ucciso sulla tomba di sua sorella e l’ultimo, con calma, una settimana dopo in una caserma.
Questa fu la strage di Villamarzana.
Gli antefatti: nei giorni precedenti il colonnello Vittorio Martelluzzi, uno dei responsabili del massacro del 15 ottobre, fece infiltrare nelle file partigiane quattro spie fasciste. Scoperte, furono immediatamente giustiziate come avviene in tempo di guerra. Da ciò la rappresaglia, la logica nazista del “dieci per uno”. Anzi, oltre, visto che le vittime furono in totale 43. Agghiaccianti le testimonianze: per esempio, Lidia Munari, il cui padre fu assassinato due settimane dopo, dichiara che dopo l’esecuzione del fratello Gino i fascisti “vennero a casa a prelevare altre bottiglie di vino”; per esempio, il padre di Danilo Button, fucilato, afferma che alcuni giorni prima “picchiarono me e mia moglie a pugni: dovevano avere qualcosa nei pugni perché (…) mia moglie per via di un pugno non è ancora capace di mangiar bene”; per esempio, il parroco don Vincenzo Pellegatti, condannato a morte e poi graziato per intercessione del vescovo, scrive che i fascisti “erano solo preoccupati di far bottino da autentici ladri volgari”. Fascisti, quindi, non solo serial killer, ma anche comuni delinquenti.
È noto che l’Italia fu teatro, in quei mesi di ferro e di fuoco, di decine e decine di eccidi sconvolgenti; molti sanno – per esempio – delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema. E tante stragi furono compiute dai nazisti, spesso con l’aperta complicità dei fascisti. A Villamarzana no, furono proprio loro, i sedicenti difensori dell’onore della Patria, a tradirla nel modo più violento, cinico e barbaro, assassinando il popolo, facendo scorrere il sangue, gettando nel fango il loro onore, sputando sul Tricolore. Erano conseguentemente fascisti.
76 anni dopo – come ogni anno, d’altra parte – nella grande piazza al fianco di quella botteguccia del barbiere si è ricordato l’eccidio nella forma più solenne: alzabandiera e fiori al monumento dei Martiri di piazza Vittorio Veneto a Castelguglielmino, fiori davanti alla lapide di una delle vittime, il maestro Giovanni Tasso a San Bellino, e poi tutti a Villamarzana, presso la bottega del barbiere. Villamarzana, che tanti anni prima della strage aveva avuto come sindaco Giacomo Matteotti, nato a un pugno di chilometri, a Fratta Polesine.
La Messa, poi due parole del sindaco Claudio Vittorino Gabrielli e del presidente del comitato provinciale per le celebrazioni della Resistenza Ivan Dall’Ara, che legge il messaggio del Presidente della Repubblica e il saluto della Presidente del Senato. Poi il mio discorso a nome dell’Anpi nazionale, infine quello dello storico Valentino Zaghi.
Nonostante il rigoroso e sacrosanto rispetto delle norme anti covid, a cominciare dal distanziamento sociale, c’è tanta gente seduta ed altrettanta in piedi, presenti le istituzioni civili e militari. Naturalmente, le compagne e i compagni dell’Anpi, con in prima fila la presidente provinciale di Rovigo Antonella Toffanello. Silenzio, rispetto e commozione durante tutti i momenti di commemorazione.
Se esistesse un libro bianco – anzi, nero – dei crimini del fascismo, troveremmo col dovuto rilievo il massacro di quel 15 ottobre. E fu a quel tempo nell’intero Paese una lunga scia di sangue per i partigiani e i civili uccisi dai nazifascisti. A loro bisogna aggiungere i militari italiani caduti nelle tante guerre di aggressione: all’Abissinia, alla Libia, alla repubblica spagnola, all’Albania, alla Francia, alla Grecia, alla Jugoslavia, all’Unione Sovietica. Ed ancora i militari e i civili di quei Paesi, tutta gente che difendeva la loro terra dagli invasori, i fascisti italiani. Perché il fascismo fu un ininterrotto necrologio, una mostruosa attitudine alla necrofilia, ovvero, come asserì Matteotti, non un’opinione, ma un crimine.
Sconcerta che dopo tanti decenni ci siano ancora nel nostro Paese le vestali del Ventennio e gli odiatori seriali della Resistenza. Ma ci sono, complice anche il clima di paura e per alcuni aspetti di smarrimento che spira in Italia. A questo proposito, parlando a Villamarzana, ho fra l’altro affermato: “Anche oggi c’è chi cerca di demolire la funzione storica, il valore ideale, la legittimità giuridica della Resistenza.
La guerra d’invasione dell’Asse aveva seminato decine di milioni di vittime, ed era persa. L’Italia, la Germania e il Giappone stavano per essere sconfitti. La resa del Giappone avvenne dopo l’olocausto di due atomiche. La Germania del dopoguerra fu smembrata e divisa. Se l’Italia, rispetto agli altri paesi sconfitti, riuscì a mantenere l’unità nazionale e territoriale, se gli accordi di pace di Parigi non punirono più di tanto il nostro Paese fu perché la Resistenza riscattò l’Italia. Questa fu la prima funzione storica dei partigiani.
La Resistenza fu fenomeno militare, la Resistenza armata, ma anche civile, le repubbliche partigiane, piccoli territori liberati temporaneamente, che già ispiravano i futuri principi costituzionali; fu sociale per gli scioperi nelle fabbriche del nord e di parte del centro nel 1943 e 1944. Fu un fenomeno complesso e di emancipazione – basti pensare al ruolo delle donne – che, nell’ambito del fine della Liberazione, si proponeva obiettivi molto chiari: la pace dopo tanti anni di guerra, la libertà dopo tanti anni d’oppressione, l’uguaglianza dopo tanti anni di gerarchia, la vita dopo tanti anni di morte. E non sono questi i principi essenziali a cui pochi anni dopo si ispirò la Costituzione della Repubblica? E non fu forse la democrazia l’incarnazione delle regole attraverso cui cercare di attuare quei principi? Ecco il valore ideale della Resistenza.
Ed infine la continuità dello Stato: al tempo tale continuità era rappresentata dal regno. Il regno d’Italia, al di là di ogni giusta critica a Vittorio Emanuele per la vergognosa fuga dell’8 settembre e per mille altre ragioni, era l’unica forma legittima di Stato; la repubblica di Salò fu l’operazione di un pugno di avventurieri che occupò tanta parte del Paese asservendola ad una potenza straniera, la Germania. Per difendere l’Italia, che non era né Mussolini, né Pavolini, né le Brigate nere, né gli assassini di Villamarzana, resistere era sacrosanto. Ecco perché parlo di legittimità giuridica della Resistenza”.
Ed eccoci oggi, trascorsi alcuni giorni da quella celebrazione, di nuovo chi a Villamarzana, chi a Rovigo, chi a Roma, in un Paese così profondamente cambiato e così gravemente intossicato dai veleni del razzismo, dalla violenza contro i “diversi”, dallo stillicidio di assassini di donne, dai rigurgiti fascistoidi più o meno dichiarati in questo o quel comune, e tutto ciò si tiene come un fango che impasta e conserva le parti peggiori dell’umano. E a maggior ragione ci serve la più importante lezione di quell’evento, la strage degli innocenti, che si compendia in poche parole: difendere sempre la vita, le persone, la loro dignità. A ben vedere, è il succo della Costituzione. A ben vedere, è essere antifascisti oggi.
Pubblicato mercoledì 21 Ottobre 2020
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