Marina Veronesi, Castelfranco Emilia 24 dicembre 1928. Sin da giovanissima è stata partigiana, nome di battaglia “Mira”

Preg.ma Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, mi chiamo Maurizio Ognibene e sono figlio di Marina Veronesi, nata a Castelfranco Emilia il 24/12/1928, da Augusto Veronesi e Pia Montorsi, residente nella località di Manzolino negli anni 1928 fino a circa il 1960. Vi scrivo dalla Casa di Riposo Fondazione Soggiorno S. Giustina, in Via Papa Giovanni XXIII, 15, 15079 Sezzadio (AL), dove mia mamma è ospite per ricevere le necessarie attenzioni nelle sue attività quotidiane.

Scorcio della via Emilia a Castelfranco Emilia

In occasione delle mie frequenti visite, mia mamma spesso riconduce i propri ricordi al tempo di guerra, con sue parole, “quando c’erano i tedeschi a Castelfranco” raccontando poi con doviziosa perizia istanti, giorni o eventi di quel periodo storico di “immense sofferenze” così mia mamma si riferisce al giorno in cui dovette recarsi al cimitero della Certosa per riconoscere i corpi senza vita dei suoi due fratelli Veronesi Aimone, nome di battaglia «Ivan», nato il 5 agosto 1911 a Castelfranco Emilia, ferroviere, insieme al fratello minore Renato Veronesi, nome di battaglia «Ivaldo», nato il 24 agosto 1914 a Castelfranco Emilia, aderenti alla Resistenza e militanti nella sessantacinquesima Brigata Garibaldi «Walter Tabacchi» insieme a mia mamma, a cui era stato assegnato il nome di battaglia “Mira”, militante nella brigata dal 10/06/1944 al 30/04/1945, con l’incarico di trasporto armi (ottobre ’44) e trasporto biglietti di carattere militare da un settore all’altro con sopra, come ricorda mia mamma, il “Pippo”, aereo da caccia, che quando la vedeva correre in bici dopo il coprifuoco le si metteva in picchiata alle spalle a suon di mitragliate finché lei non si buttava nel fosso.

il ruolino di partigiana combattente di Marina Veronesi

Subito dopo l’arresto dei suoi due fratelli, mia mamma, dai suoi stessi ricordi, fu fermata e trattenuta per diverse ore per essere interrogata in un locale imprecisato attiguo all’edificio Comunale per poi essere lasciata libera grazie all’intervento di un “tedesco buono”, così lo ricorda, che affermò in modo convincente che “nulla poteva sapere una ragazzina quindicenne”.

Monumento ai partigiani uccisi a San Ruffillo, quartiere
di Bologna (Foto di Giovanni Baldini, da memo.anpi.it il progetto partecipato delle memorie)

L’arresto di Aimone e Renato ebbe invece ben altra svolta, avvenuto il 22 gennaio 1945 nel corso di un rastrellamento che a seguito di alcune delazioni investì la pianura modenese attorno alle località di Castelfranco Emilia, Manzolino, Riolo e Rastellino, dopo una breve permanenza nel carcere di San Giovanni in Persiceto (BO) vengono condotti insieme agli altri arrestati a Bologna, dove il 29 gennaio 1945 vengono registrati in ingresso nel carcere di San Giovanni in Monte con la matricola 13082 Aimone e 13083 Renato, a disposizione del «comando tedesco SS», ovvero della Gestapo.

La Stazione bolognese di San Ruffillo oggi

Il 10 febbraio 1945 vengono prelevati con altri 51 detenuti, in tutto dunque 53, e consegnati ad agenti del comando di polizia tedesca per «essere tradotti altrove». Ammanettati a coppie con del filo di ferro, saranno condotti in alcuni camion davanti al rudere della stazione periferica di San Ruffillo per essere fucilati e sepolti sommariamente in alcuni crateri di bomba. Ai parenti sarà lasciato credere un trasferimento fin quando l’eccidio sarà scoperto casualmente poco dopo la Liberazione e anche le loro salme saranno riconosciute tra quelle portate al cimitero della Certosa provenienti dalle “fosse di San Ruffillo”, dove i corpi dei fratelli Veronesi furono trovati abbracciati.

Monumento ai partigiani uccisi a San Ruffillo, quartiere
di Bologna (Foto di Giovanni Baldini, da memo.anpi.it il progetto partecipato delle memorie)

Furono riconosciuti partigiani dall’apposita Commissione regionale, con ciclo operativo dall’8 agosto 1944 al 10 febbraio 1945 e ricordati nel monumento in piazza Caduti di San Ruffillo a Bologna.

In occasione di una visita a mia mamma in casa di riposo, ho voluto compiere un gesto speciale al termine di uno dei suoi racconti: sapendo che non si sarebbe ricordata di averlo ricevuto parecchi anni prima, così come non ricorda più che un tempo la chiamavano “Mira”, ho consegnato nelle sue mani la pergamena e la medaglia del Comune di Castelfranco Emilia (MO) che si possono vedere nella foto. Mi ha chiesto più e più volte se tale riconoscimento fosse stato prodotto dal Comune di Castelfranco Emilia e a ogni mio cenno di conferma ho visto gli occhi di mia mamma illuminarsi di gioia e di commozione a cui mi sono unito con un abbraccio. Ho sentito pertanto l’impulso spontaneo e doveroso, vista la felicità di mia mamma, di renderVi partecipi di questo istante di sincero amore per la Patria e la Libertà.

Viva l’80° della Liberazione! Viva la Libertà! Viva L’Italia!

Con i migliori saluti, Marina Veronesi “Mira” e suo figlio Maurizio Ognibene