Luigino Malinverni (da “Noi partigiani“, il Memoriale della Resistenza italiana)

Fin quando ha potuto, non ha mai mancato una commemorazione, un corteo, un 25 aprile: Luigino Malinverni è stato partigiano, il partigiano Franco, per tutta la vita. Una lunga e densa vita, la sua, dedicata alla famiglia, al lavoro e, ovviamente, alla cura e alla diffusione della memoria storica della Resistenza. Luigino Malinverni ci ha lasciati il 26 febbraio 2025 a Vercelli all’età di 98 anni, dopo una lunga vita dedicata alla Memoria e alla Resistenza.

Uomo colto, gentile, riservato, per tutta la vita ha continuato la sua testimonianza di ‘resistente’ militando sia nell’Anpi, di cui a lungo è stato presidente provinciale di Vercelli, sia nel Consiglio direttivo dell’Istituto storico per la Resistenza e la Storia contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia con il quale ha collaborato per 20 anni. Titolare del negozio ‘Fede d’oro’ di via Fratelli Bandiera a Vercelli con l’amata moglie Giuseppina Leboranti, mancata nel dicembre del 2023, lascia ora le figlie Adriana e Silvia, e un’intera città, a ricordarne la sensibilità e l’amore per la giustizia. Le esequie si sono svolte venerdì 28 febbraio 2025 nella chiesa di Santa Maria Immacolata del cimitero di Billiemme di Vercelli.

Luigino Malinverni

Nato a Zerbo, in provincia di Pavia, il 25 maggio del 1926, si ritrova appena poco più che adolescente a dover scegliere da che parte stare: “Frequento il penultimo anno di Ragioneria a Stradella quando il bando Graziani obbliga alla leva i ragazzi nati nel primo semestre del 1926. Io, che ero nato il 25 di maggio e avevo solo 18 anni, devo lasciare la scuola e andare in montagna. Così sono diventato il partigiano Franco”: Luigino Malinverni sceglie la lotta di Liberazione, seguendo l’esempio del fratello maggiore, come ricorda nell’intervista rilasciata a Laura Gnocchi per il progetto Noi, partigiani, da lei curato con Gad Lerner. È l’inverno del 2019 e lui ritorna alla sua gioventù con la pacata riservatezza che lo ha sempre contraddistinto.

I territori dell’Italia attraversati dalla Linea Gotica

Nella elegante casa del centro di Vercelli ritorna alla sua vita di ragazzo che, come tanti altri giovani antifascisti, si è ‘trovato’ a fare la guerra.
Si inserisce prima nella brigata Sap, comandata dal fratello maggiore che, dice Luigino, “è del 1912 e la mia mamma l’ha chiamato Consuelo, che è un nome da donna, ma per lei voleva dire che era la sua consolazione”, operante sulla sponda sinistra del Po: “qui c’erano i tedeschi che si preparavano alla difesa della Linea Gotica aiutati da un gruppo di soldati slovacchi che usavano per i lavori secondari. Alcuni di loro avevano disertato ed erano passati con noi partigiani e Micha e Vladislavov, due di loro, una notte, ci hanno aiutato a compiere un’azione militare pericolosa: ci hanno aperto la porta della scuola di Zerbo, dove i tedeschi erano accasermati e stavano dormendo così profondamente che li disarmammo, senza catturarli. Dopo tre sere ripetemmo la stessa operazione al paese vicino, Costa dei Nobili”.

Fucile Modello 91

Arrivato a Caminata, in Alta Val Tidone, i partigiani del comandante Quinto accolgono solo due ragazzi, uno è Luigino, perché il gruppo è già numeroso: “Mi hanno messo in spalla un fucile modello 91, senza la tracolla di cuoio ma legato con un filo elettrico, e due caricatori, 12 pallottole in tutto, con la raccomandazione di non sprecarle”. La Brigata ha preso ai tedeschi un camion con una mitragliera antiaerea e si specializza nei colpi di mano e negli attacchi ‘mordi e fuggi’ sulla via Emilia contro i nazisti che attaccano a colpi di mortaio. Dopo un’estate dolce – la vita partigiana nei primi tempi era dolce, era agosto, settembre e ancora si reggeva – arriva la fine di novembre e la battaglia sulla Diga del Tidone, vicino alla centrale elettrica. Qui Luigi e i compagni resistono a colpi di sassate contro i mortai tedeschi poi sono costretti alla fuga e, aiutati da due soldati tedeschi disertori, scappano dalla sparatoria approfittando della nebbia. Sono solo sette o otto ragazzi con il fucile 91, senza più un comandante. Sbandati.

Camion tedesco della Wehrmacht

L’inverno ‘44/’45 è difficilissimo: il freddo invincibile, la fame combattuta a castagne e pere selvatiche, le notti all’addiaccio, i pidocchi non danno tregua. Tante le azioni alle quali ha partecipato, come a Pieve Ponte Morone, ma i ricordi più vividi sono quelli della fine, della conquistata Liberazione: ”quando dal comando arriva l’ordine di andare a liberare Milano io mi rifiuto. Ho tutta una vita davanti, l’ho già rischiata molte volte e voglio viverla, così dico al mio comandante, il ‘Gueron’, Guerrino Politi, NO, io NON vengo. Ma poi, quando vedo i compagni partire, non ce la faccio e vado con loro”. Nella fretta non hanno tolto i simboli nazisti dai camion tedeschi appena requisiti e vengono più volte bombardati dagli inglesi:” iniziano ad attaccarci credendoci tedeschi in fuga, all’altezza della Certosa ma io mi sono salvato buttandomi nel Navigliaccio”.

Milano, Piazzale Loreto. I corpi di Mussolini, Petacci e dei gerarchi che volevano fuggire in Svizzara con il capo dl fascismo

È il pomeriggio del 27 aprile, sono più di 500 partigiani: gli americani della Quinta Armata arriveranno solo cinque giorni dopo. Di quei giorni decisivi per la storia italiana Luigino ha molti ricordi ma sono due i più folgoranti. Il primo è terribile: “Mentre presidio il corpo di Mussolini e degli altri a Piazzale Loreto, dalla folla impazzita esce una donna che, tirata fuori una pistola dalla borsetta, cerca di sparare sui cadaveri”.

Sandro Pertini

Il secondo è delizioso nella sua umanità: “Nella trattoria di via Procaccini ho incontrato Sandro Pertini che mi ha detto ‘vieni qui, sei il più giovane, siediti vicino a me’. Un grande onore”. Poi la vita lo riporta alla normalità, quindi il matrimonio, le amatissime figlie, il lavoro nella tranquilla e misurata Vercelli. Parallelamente, però, Luigino Malinverni continua a essere anche il partigiano ‘Franco’, soprattutto per la locale sede dell’Anpi, alla quale dedica molte attenzioni, tempo ed impegno.

Tra le tante iniziative una delle più recenti è senza dubbio aver portato alle stampe il volume Pietre Resistenti, da lui curato, come presidente onorario, con Sandra Ranghino, presidente provinciale dell’Anpi Vercelli – Valsesia dal 2011 al 2016, e con le collaborazioni di Luciano Giachetti, nome di battaglia ‘Lucien’ e meglio conosciuto come il fotografo Baita, e da Mario Suman.

Il volume censisce cippi e monumenti a ricordo dei Caduti della Resistenza e dei civili uccisi per rappresaglia dai fascisti e dai nazisti nel Basso Vercellese. Di tutti i Caduti si danno cenni biografici e immagini dei luoghi descritti e, nonostante la voluta sinteticità risulta essere un’opera toccante e essenziale per chi voglia imparare a ‘leggere la storia’ anche dalle tracce che lascia nelle strade, nelle piazze, sui muri. In apertura due scritti di Giacomo Verri, il racconto ‘Tra le foglie’ e il saggio ‘la Resistenza del Ricordo’.

Sandra Ranghino, a destra dello scatto, con l’autrice di questo articolo, Elisabetta Dellavalle

Proprio Sandra Ranghino, che nel 2011 ha raccolto il testimone da Luigino Malinverni ed è stata, fino al 2016, la prima presidente Anpi Vercelli a non essere stata partigiana, sottolinea come “Luigino Malinverni e Teresio Pareglio, il partigiano Euclide, avevano chiara la necessità di trasmettere ai giovani il valore della memoria”. Giovani, Valore e Memoria: tre Pietre resistenti sulle quali tutte le partigiane e i partigiani di ieri e di oggi, e di domani, fondano le loro certezze.

Elisabetta Dellavalle