È il 3 maggio 1945. I pontoni da sbarco inglesi, partiti all’alba da Durazzo, dopo ore di navigazione giungono in vista del porto di Brindisi, e una gioia indicibile s’impossessa degli uomini della Brigata Gramsci che si abbracciano forte tra loro.
Per molti di essi il distacco dai propri cari è durato cinque anni, hanno sopportato sacrifici inenarrabili a cui avevano pensato di non riuscire a sopravvivere. In tanti scoppiano a piangere mentre la sirena del piroscafo risponde alle segnalazioni provenienti dal forte di Sant’Andrea, attraversando il canale Pigonati.
A fatica gli ufficiali, coadiuvati dai sottufficiali, riescono a ricomporre gli uomini, esortandoli a un contegno degno del tributo che le autorità militari e civili italiane e alleate stanno per dare loro, alla Brigata Gramsci, un riconoscimento per aver contribuito alla liberazione dell’Albania dall’occupazione nazifascista. Qualche giorno prima il comandante in capo dei partigiani albanesi e presidente dello Stato Shiptaro, Enver Hoxha, ha commosso e inorgoglito i soldati italiani con un messaggio, e hanno sfilato con le bandiere per le strade di Durazzo tra gli applausi della popolazione.
I militari italiani, mentre le navi si avvicinavano al molo brindisino, si preparano all’imminente rivista, rassettando le divise, appuntandosi sul petto le medaglie ricevute dagli albanesi, ma… Lì al porto in attesa non c’è nessuno ad accoglierli. Lo sconcerto e la delusione cominciano a serpeggiare, sono increduli del silenzio e dell’indifferenza che l’amata Italia sta riservando loro, quasi siano figli misconosciuti.
Passano le ore e finalmente si vede un tenente in rappresentanza del presidio militare, porta improbabili scuse, invitandoli però a dirigersi per una via secondaria verso dei baraccamenti di legno, lontano dagli occhi della gente.
Inizia così in terra italiana, la vergognosa vicenda di un tributo mancato alla Brigata Gramsci, salutata con l’onore delle armi dalle autorità albanesi e trattata invece dagli inglesi come peggio non si riesce a immaginare per dei soldati che hanno messo a rischio la vita e non dimenticano i moltissimi compagni Caduti. Fa male soprattutto il silenzio assordante del governo italiano, che li tratta come un pericoloso contingente di militari comunisti pronti ad aizzare la guerra civile.
L’intero eroico Battaglione, una volta radunato, è trasferito di nascosto e senza mai riceve un tributo dal suo Paese, in un campo di concentramento sorvegliato da militari inglesi armati, costretto a cedere loro le armi, pena l’accusa di insubordinazione in tempo di guerra. Il campo di Sant’Andrea nei pressi di Taranto è così inaugurato dai militari partigiani italiani della Gramsci per poi, paradossalmente, pochi mesi dopo “ospitare” i fascisti repubblichini della Decima Mas, delle SS Italiane e di altri collaborazionisti, presi prigionieri dai partigiani italiani o dagli Alleati negli ultimi giorni di guerra. Nonostante questi ultimi siano stati partecipi di orrende stragi, alla fine del mandato inglese, il governo italiano aprirà i cancelli e torneranno tutti, fieramente, in libertà.
Invece sui combattenti partigiani del Battaglione Gramsci cala un muro di amnesia e smemoratezza, del suo passaggio per Brindisi non vi è traccia in nessuna delle cronache locali del tempo, e tantomeno nei documenti ufficiali.
Grazie solo alle testimonianze autobiografiche lasciateci da qualche reduce, possiamo oggi conoscere del sacrificio della vita di centinaia di nostri compatrioti che in terra d’Albania non si arresero ai tedeschi e diedero onore a una Patria che li ignorò al loro arrivo.
Antonio Camuso, Archivio Storico Benedetto Petrone, Brindisi
Pubblicato mercoledì 3 Maggio 2023
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