Il 27 aprile riprendendo una consuetudine ormai consolidata, l’International Gramsci Society Italia ha dato appuntamento al Cimitero Acattolico di Roma, davanti alla tomba di Antonio Gramsci, per ricordare l’86° anniversario della morte di uno dei più grandi intellettuali del Novecento, fondatore del Partito Comunista.

La tomba di Antonio Gramsci al Cimitero Acattolico di Roma (Imagoeconomica)

Le date, ha ricordato il presidente della IGS, Guido Liguori, hanno un significato particolare: il 25 aprile 1937, otto anni prima della Liberazione, Gramsci, dopo un lungo periodo di detenzione nelle carceri fasciste, fu restituito alla condizione di uomo libero, condizione della quale non poté godere, perché colpito da un’emorragia cerebrale che lo condusse alla morte appena due giorni dopo.

(Imagoeconomica)

Ricordare Gramsci, ha sottolineato, il presidente della ISG, è sempre un atto politico, tanto più in un momento di profonda crisi e di grave incertezza, caratterizzato dal protrarsi della guerra che insanguina il cuore dell’Europa, e dalla svolta politica che ha portato alla formazione del governo più a destra che vi sia mai stato in Italia dalla caduta del fascismo. Tanto più, pertanto, in una contingenza così difficile, occorre continuare a ispirarsi a figure come quella di Antonio Gramsci che, anche nella condizione di detenzione, minato nel fisico e nel morale, seppe guardare con lungimiranza e lucidità alle prospettive di un futuro difficilmente decifrabile, e, rimanendo coerente con i propri ideali, ma senza chiusure settarie, affrontò nei Quaderni dal carcere i nodi della storia d’Italia e d’Europa, delle tendenze e degli orientamenti della società contemporanea, dei modi di porsi e di pensare degli individui e delle classi sociali di fronte alle grandi trasformazioni dei primi decenni del 900. Una lungimiranza che lo condusse tra l’altro – ha ricordato Liguori – a prospettare l’idea dell’unità europea come fattore di superamento e di liquidazione dei nazionalismi che, purtroppo, affliggono ancora il vecchio continente.

Pasolini davanti alla tomba di Gramsci al Cimitero Acattolico di Roma

Prendendo la parola, Fabrizio De Sanctis, della segreteria nazionale Anpi, si è soffermato in primo luogo sul valore morale della tenace resistenza opposta da Gramsci ai suoi aguzzini; una resistenza che lo condusse a continuare la lotta con le armi che gli restavano, le armi dell’intelligenza critica, a dispetto delle sofferenze inflitte da un regime carcerario intenzionalmente crudele, voluto da Mussolini in persona, affinché quel cervello potesse cessare di funzionare negli anni a venire. Ma la mente del pensatore politico non si fermò, e produsse invece una riflessione che è oggetto di studio e di approfondimento non solo in Italia, ma in tutto il mondo (lo hanno ricordato i rappresentanti del Partito comunista del Cile e della Rosa Luxemburg Stiftung presenti all’evento); una riflessione che non ha solo colto precocemente i caratteri di novità del fascismo come movimento reazionario di massa, ma ha anche fornito, attraverso il concetto di rivoluzione passiva, i presupposti di una analisi del regime come progetto di ristrutturazione in senso gerarchico, categoriale e totalitario della società e dello Stato, nel contesto di un percorso di riflessione sulle diverse sfaccettature della modernità, dal quale è discesa un’elaborazione politica e culturale originale, punto di intersezione di idealità democratiche e socialiste, tesa alla ricerca di strategie di governo della complessità, attraverso gli apparati di egemonia di cui il proletariato, imprescindibile riferimento del pensiero di Gramsci, avrebbe dovuto dotarsi.

Orgosolo, murale in via Gramsci

Per queste ragioni, ha concluso De Sanctis, il pensiero di Gramsci si pone ancora oggi come un punto cruciale di riferimento per l’antifascismo, che parla a un presente desertificato culturalmente e politicamente, in cui sembra avanzare quell’indifferenza contro la quale il giovane rivoluzionario sardo si scagliava in scritti che sono diventati un manifesto per l’oggi.

Il primo numero de L’Ordine nuovo, il giornale fondato da Antonio Gramsci

Altri interventi, tra i quali quello del segretario del Partito di rifondazione comunista, Maurizio Acerbo, non hanno mancato di sottolineare l’importanza della critica gramsciana come strumento di contrasto del pensiero unico neoliberista, e delle sue pretese di rappresentarsi come sostrato culturale dei sistemi democratici del XXI secolo, quando invece le grandi fratture di questi primi venti anni, dalla crisi economica del 2008, alla pandemia, alle guerra, ne mettono sempre più in evidenza il carattere di ideologia classista, reazionaria e antipopolare.

A Firenze, in via Canova, un murale realizzato dallo street artist Jorit

D’altra parte è innegabile che l’ideologia neoliberista, nelle declinazioni più apertamente conservatrici, è stata fatta valere anche nel ricorrente tentativo di minare alle fondamenta i presupposti ideali e politici dell’antifascismo e, di conseguenza, di delegittimare la Costituzione, nata dalla Resistenza, che incarna quei presupposti, trasformati in norme e precetti di convivenza democratica. Oggi, con il governo di una destra che non riesce, e neppure intende, fare i conti con le sue radici, il discorso revisionista ha assunto una valenza più aggressiva, e si trincera dietro un consenso amplificato da un sistema elettorale truffaldino, che ha alterato profondamente e gravemente il sistema della rappresentanza. Di questo revisionismo abbiamo esempi quotidiani, che spingono a una falsificazione della storia e a una sistematica alterazione della verità talmente sfacciate da suscitare dubbi e prese di distanza persino all’interno dello stesso schieramento di governo.

Al centro, Gramsci a Vienna nel 1923

Al contempo, la polemica revisionista trova alimento in un clima di crescente spoliticizzazione della società, ben documentata da un astensionismo elettorale che ha da anni superato la soglia di guardia e oggi appare uno dei rischi più gravi per il sistema democratico. Lo stesso astensionismo è, a sua volta, la punta dell’iceberg di una società sempre più povera, logorata psicologicamente e materialmente da due anni di pandemia, impaurita da una guerra che minaccia costantemente di estendersi ben oltre le frontiere dei belligeranti, sfiduciata per quanto riguarda il proprio futuro.

Per ricondursi a una nota frase di Gramsci, sembrerebbe, questo, il momento del pessimismo dell’intelligenza. In cui occorre non solo interrogarsi sulle dinamiche di un regresso della società e della politica che appare difficilmente reversibile, ma di riprendere e rivendicare le ragioni di un pensiero critico e di una politica che vuole essere cultura, analisi, riflessione, recupero della memoria e della storia in funzione di un progetto democratico e progressivo di società e di Stato, che non si perda nei meandri di un presentismo smemorato e soprattutto sappia smarcarsi dalle secche del pensiero unico neoliberista che la pandemia prima e la guerra poi hanno destituito di ogni apparenza di razionalità e svela sempre più il carattere reale di guerra ideologica dei ricchi contro i poveri.

Il pensiero e l’esempio di Gramsci costituiscono, per questi aspetti, un punto di riferimento imprescindibile, per chiunque non intenda cedere alle tentazioni della passività e della rassegnazione. E dalla cella di Turi continua a propagarsi un magistero che, nella nostra volontà e nelle nostre possibilità, come Anpi e militanti antifascisti, cercheremo di mantenere vivo.