Il 17 luglio 1944 il fiume Isonzo/Soča restituisce il corpo di un uomo. Siamo in località Plava/Plave in Slovenia (allora parte del Regno d’Italia, provincia di Gorizia). Qualche giorno prima, nel tentativo di attraversare le acque in piena del fiume erano scomparsi tra i flutti alcuni membri del Comitato centrale del Partito comunista sloveno, di ritorno da un incontro indetto per l’elezione dei Comitati popolari in località Cosbana/Kožbana nel Collio sloveno, con loro era scomparso anche Jože Srebrnič. L’uomo recuperato, secondo Danilo Perčič il 20 luglio (1), presso la centrale elettrica di Palva/Plave da alcuni militi fascisti sulla riva sinistra del fiume pareva corrispondere alla figura di Srebrnič. L’identità fu accertata da Miha Bašin, suo conoscente e amico che si recò appositamente da Salcano/Solkan e di nascosto alla camera mortuaria del cimitero di Brilesse/Prelesje, nelle vicinanze di Plava/Plave, dove, dopo il riconoscimento, il corpo di Srebrnič fu provvisoriamente seppellito (2).
La vita di quest’uomo è stata difficile e luminosa allo stesso tempo. Jože Srebrnič è nato a Salcano/Solkan, nei sobborghi di Gorizia il 28 febbraio 1884, all’epoca parte dell’Impero austro-ungarico. Figlio di Bašin Catherine e di Frančišek di professione falegname, una famiglia di umili origini. Dopo aver frequentato la scuola elementare a Salcano/Solkan si iscrive, nel 1896, al Ginnasio di Gorizia, dove nel 1905 consegue la licenza liceale. Nello stesso anno entra come volontario, per il periodo di un anno, alla scuola ufficiali del 47° Reggimento Fanteria. Nel 1906 è aspirante ufficiale mentre l’anno successivo è chiamato alle manovre militari, dove consegue il grado di sottotenente. Srebrnič, di fede socialista, aderisce al Partito socialdemocratico e in virtù di questa appartenenza rinuncia al grado militare acquisito ponendo così fine alla carriera militare. Nel 1908 s’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Graz non conseguendo però mai la laurea. Intervengono infatti problemi di natura economica che non gli permettono la prosecuzione degli studi: il padre Francesco si ammala e Jože deve rientrare a casa per proseguire l’attività nella bottega di famiglia. In seguito abbandonerà questo mestiere per dedicarsi all’agricoltura.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, richiamato alle armi nell’esercito austroungarico, è inviato sul fronte della Galizia e partecipa alla guerra sul fronte russo come soldato semplice in quanto, come detto, aveva rinunciato al grado di sottotenente. Contrario al conflitto bellico, insieme con altri commilitoni, quando se ne presenta occasione, si consegna prigioniero dei russi. Come prigioniero di guerra svolge vari lavori e nel 1917 aderisce al fermento rivoluzionario che sconvolge la Russia, nella Rivoluzione di febbraio e poi in quella bolscevica d’ottobre. Collabora alla Rivoluzione e diviene rappresentate dei prigionieri di guerra sloveni. Alla fine della guerra, nel 1919, rientra nel litorale sloveno, terra che da lì a poco, nel 1920, sarà assegnata al Regno d’Italia dal Trattato di Rapallo.
Il 1920 è l’annus horribilis per la componente slovena e croata della città di Trieste, in una città piena d’odio e di risentimento brucia il Narodni Dom, sede dell’associazionismo sloveno, vengono assaltate le scuole della minoranza, è devastata la sede del giornale liberale sloveno Edinost, e oltre alle gravi distruzioni materiali si registrano morti e feriti. È in questo clima che Srebrnič rientra nelle nostre terre e non si sottrae al suo impegno politico: si candida a Salcano/Solkan alle elezioni amministrative del 1922, vinte dai comunisti, e diventa vice sindaco, incarico che tiene fino allo scioglimento, per legge, del Consiglio comunale (3).
Amante della natura e della sua terra natia si dedica all’alpinismo e al nuoto, sport nel quale eccelleva, contemporaneamente però si dedica con passione allo studio. In particolare ama le sue origini slovene, dedicando a quest’argomento i suoi studi. Una breve nota dell’impegno in quei difficili momenti e sulle sue caratteristiche atletiche ci viene riportato dai ricordi della comandante partigiana Marija Bernetič (4), già parlamentare della Repubblica Italiana nella IV Legislatura, slovena di Trieste, eletta nelle liste del Pci: “L’ho conosciuto nei primi anni della violenza fascista. Dopo gli interventi contro i fascisti nel mese di settembre del 1920 a Trieste, Jože Srebrnič con Jože Pertot, redattore del giornale Delo, è venuto per la prima volta a casa nostra. Da noi si riunivano i compagni che con il loro lavoro volontario collaboravano con il giornale. Erano i fratelli Jakob e Viktor Vatovec, Roman Črmelj e altri di cui non ricordo il nome. Da allora Srebrnič veniva da Salcano/Solkan regolarmente una o due volte al mese a casa nostra, dove si riunivano per motivi di sicurezza. Sicuramente si trovavano anche in altri luoghi, ma a me ragazza di 18 anni non lo facevano sapere”.
Scrive ancora Marija Bernetič: “Ricordo ancora piccoli dettagli che rivelano il carattere del compagno Srebrnič, era un intellettuale capace ma di modi semplici. Con il suo sapere e il suo comportamento conquistava tutti. Da Salcano/Solkan veniva a Trieste per la maggior parte a piedi (sono una cinquantina di chilometri, ndr) per evitare di essere pedinato dalla polizia e dai fascisti. Verso mezzogiorno era già a casa nostra. Prima di tutto voleva togliersi la polvere di dosso, mia madre gli dava un spazzola e la crema per scarpe perché si spazzolasse i vestiti e pulisse le scarpe. Chiacchierava con la mamma finché non tornavo a pranzo dal lavoro. I miei fratelli più piccoli di solito mi correvano incontro e con aria importante mi dicevano che a casa mi aspettava quel signore che arrivava tutto impolverato con le scarpe sporche che poi lucidava con la crema da scarpe in modo che brillassero, e questo solo nella parte anteriore che sporgeva dai pantaloni. Srebrnič era un dirigente molto apprezzato sia dagli operai sloveni che italiani. Spesso si riunivano più compagni. Srebrnič emergeva tra tutti per i suoi discorsi efficaci e convincenti” (5).
Srebrnič continua la militanza socialista, nel 1921 con la scissione di Livorno è tra i fondatori del Pcd’I. Una militanza la sua per nulla passiva che durerà dalla fondazione del partito italiano fino al 1943. Il 15 maggio 1921 si svolgono le lezioni politiche, le prime alle quali partecipano le popolazioni slovene e croate dei nuovi territori della Venezia Giulia. Il clima è di pesanti violenze soprattutto in Istria e a Trieste, dove si registra la vittoria del Blocco Nazionale.
L’Italia dopo la marcia su Roma è un Paese in bilico e “marcia” decisamente verso la dittatura fascista. Nella provincia di Gorizia invece, che era rimasta fino a quel momento in pratica immune dalle violenze squadriste, erano stati eletti 5 deputati: 4 sloveni Laurencic, Podgornik, Scek e Wilfen della Concentrazione Slovena e 1 comunista Giuseppe Tuntar del Pcd’I (6).
La legge del 18 novembre 1923 (legge Acerbo) ridefinisce completamente il sistema elettorale, spariscono i Collegi e sono introdotte Circoscrizioni elettorali, un unico Collegio nazionale e un forte premio di maggioranza, ridimensionando pesantemente la rappresentanza delle minoranze politiche ed etniche. Le successive elezioni del 6 aprile 1924 si svolgono in un clima ancora più acceso di violenze e intimidazioni che sono estese a tutto il territorio nazionale. L’esito delle urne, in ragione della nuova legge elettorale, consente al “Listone Mussolini” di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Questo consentirà in seguito, in abbinamento all’atteggiamento inerte della monarchia, l’approvazione di tutte le leggi funzionali all’instaurazione della dittatura. A quelle elezioni si era presentato nelle file del Pcd’I anche Jože Srebrnič. La lista ottiene complessivamente 19 deputati, tra i quali è eletto anche Srebrnič. Le minoranze etniche ottengono 4 deputati, due altoatesini e due sloveni.
Le opposizioni parlamentari non sono immuni dal clima presente nel Paese, sono soggette ad aggressioni e persecuzioni giudiziarie che raggiungono il loro apice già poco dopo le elezioni, il 10 giugno 1924, con l’omicidio dell’onorevole socialista Giacomo Matteotti. Il Parlamentare Jože Srebrnič opera in questo clima: è comunista e rappresenta anche la minoranza slovena che la monarchia e il governo fascista vuole forzatamente e violentemente assimilare.
Nel novembre del 1925, riferisce il giornale l’Unità (7), è aggredito fuori da Montecitorio da un gruppo di fascisti, insieme con altri parlamentari comunisti, fatto che gli procura necessità di soccorso ospedaliero. Tentativi d’arresto nell’epoca in cui è deputato sono promossi dalla Procura di Gorizia che lo accusa di favoreggiamento dell’emigrazione clandestina per aver aiutato alcune famiglie di origine slovena a espatriare in Russia. A quest’accusa si sottrae dimostrando la legalità dell’operazione per la quale esisteva regolare richiesta presso il ministero degli Esteri (8).
La Procura di Gorizia però non desiste. La notte del 30 agosto 1926 è sorpreso con altri sei comunisti del luogo a cantare canzoni slovene nell’osteria di Marušič Catherine a Salcano/Solkan. Tale denuncia, che comporta la violazione dell’art. 457 del codice penale, determina la richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti indirizzata il 6 ottobre 1926 al Presidente della Camera dei deputati (9). La richiesta decadrà in virtù del fatto che il 9 novembre 1926 l’intero gruppo dirigente comunista è arrestato e sono dichiarati decaduti i parlamentari secessionisti.
Gli anni seguenti sono un susseguirsi di denunce, arresti, detenzioni, invio al confino: fu a Lampedusa, Ustica, Ponza, Ventotene, in carcere a Gorizia, Roma, Napoli. Nel 1939, per sfuggire a un nuovo arresto, espatria clandestinamente a Lubiana ma anche qui è arrestato e l’anno successivo consegnato alle autorità italiane le quali procedono al suo arresto.
In galera e al confino Srebrnič è ben voluto dai compagni di prigionia, guadagnandosi stima e rispetto. Dal confino di Ustica ne parla Bordiga in una lettera a Gramsci il 4 marzo 1927: “credo poterti dire che sono ora qui Maffi e Srebrnic (sic)”. Ne scrive da Ustica anche Piero Ventura, sempre a Gramsci, il 28 marzo 1927: “Il corso di tedesco, diviso come sai in primo e secondo, dopo il volontario allontanamento di Sartor (10) è fatto con diligenza da Srebrenic (sic), venuto da Lampedusa” (11).
L’anarchico triestino Umberto Tommasini lo ricorda nelle sue memorie al confino di Ponza nel 1928: “Il primo anno abbiamo fatto i bagni in quella bella spiaggetta, dopo hanno visto che era un posto troppo vulnerabile per le fughe perché il mare era aperto, anche se c’erano le barche che ci facevano la guardia. Allora ci hanno messo dentro al porto, in una spiaggetta, bella ma piccola. Vicino c’era uno scolo di non so che. Lì andavano tutti i benestanti del paese, era la spiaggia della borghesia. Era troppo piccola per noi che eravamo un mucchio di gente. Volevamo tornare dove il mare era aperto, c’erano certe onde che nuotavo come un pesce, andavo dentro un’onda e uscivo dall’altra parte. Io e il deputato di Gorizia, Srebrnic (sic), andavamo fuori con qualunque tempo, ci schizzavamo, andavamo sotto le onde. Lì invece c’era una scogliera, era tutto chiuso, c’era solo la banchina per saltare e fare i tuffi. E allora agitazione: ‘Non facciamo il bagno! Sciopero dei bagni!’” (12).
È inoltre ricordato, con particolare stima e affetto, da Sandro Pertini in una lettera del 1969, quando era Presidente della Camera dei Deputati: “Ho conosciuto Giuseppe Srebernič (sic!) all’isola di Ponza ove entrambi eravamo stati confinati dal regime fascista. Uomo di fede, fiero, deciso a non scendere mai ad alcun compromesso. Dietro la scorza d’una apparente durezza celava un animo buono dolce generoso, pronto a porgere conforto ed aiuto” (13).
Nel corso di questo lungo periodo di detenzione e confino si dedica alla stesura della sua storia del popolo sloveno, opera composta di due manoscritti, sequestrati dalle autorità di polizia fasciste. Questo lavoro storico, redatto in lingua slovena, è stato giudicato come un capolavoro da Kermavner, che asserisce di averne letto il contenuto (14). Purtroppo, a oggi, se n’è persa la traccia, ne resta solo documentato il sequestro, e probabilmente, se non completamente perduto, giace dimenticato in qualche archivio.
Quando, il 25 luglio 1943, cade il governo Mussolini, Srebrnič, si trova detenuto nel campo di Renicci in provincia di Arezzo. A capo del nuovo governo viene nominato, dal re Vittorio Emanuele III, il gen. Pietro Badoglio, personalità fortemente compromessa con il regime fascista, il quale, oltre a sciogliere il Partito Nazionale Fascista e la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, vieta la costituzione di nuovi partiti, militarizza l’amministrazione pubblica e reprime “manu militari” i moti che sorgono spontanei nella Penisola. Dai luoghi di detenzione e di confino sono dapprima rilasciati liberali e cattolici, quindi dalla metà di agosto 1943 sono liberati anche i detenuti e confinati socialisti e comunisti ma per gli anarchici, gli “allogeni” della Venezia Giulia e dei territori occupati la detenzione e il confino continuano ancora.
A Renicci Srebrnič incontra ancora l’anarchico Tommasini, personalità non molto incline al rapporto con i comunisti, che annota nella sua autobiografia: “Siamo rimasti soli e c’era l’unica mensa che funzionava. C’erano anche dei comunisti perché quelli che avevano nomi slavi li hanno considerati slavi, non comunisti. C’erano anche Jaksetich, Srebrnic (sic!)” (15). Il 10 settembre 1943, due giorni dopo l’Armistizio, il capo della polizia Carmine Senise dispone la liberazione dei rimanenti detenuti politici. Il giorno successivo Jaksetich e Tommasini (e probabilmente anche Srebrnič) lasciano il campo di Renicci. In molti luoghi di detenzione la disposizione di polizia non viene applicata perché nel frattempo si è realizzata la loro occupazione da parte delle truppe tedesche.
Rientrato nella sua terra, Srebrnič inizia una stretta collaborazione con il Movimento di Liberazione nazionale sloveno. I primi giorni del 1944 raggiunge il comando del IX Korpus Novj nella Selva di Tarnova, sull’altopiano alle spalle della città di Gorizia. A 60 anni Jože Srebrnič è ancora un militante combattivo e determinato nella lotta contro il nazifascismo. In questi sui 60 anni di vita attraversa tutti gli sconvolgimenti che hanno caratterizzato la prima metà del secolo XX. La sua appartenenza etnica e la sua attività sul fronte internazionalista mi fanno pensare alla qualifica di “internazionalista identitario”, un ossimoro che però rende evidente la sua posizione politica incentrata sulla valorizzazione delle proprie radici, aperta al confronto e anche determinata nell’abbattere gli steccati che contrappongono popoli ad altri popoli. L’indole d’inguaribile ottimista catalizza con la certezza che il popolo, le classi subalterne delle varie nazioni, sarebbero state in grado di porre fine alle guerre e allo sfruttamento.
La sua concezione di convivenza in quest’area è determinata non da dogmi ideologici ma dalla frequentazione pratica di queste comunità (i voti di preferenza, ben 3.988 nelle elezioni del 1924, che gli consentono l’elezione a deputato, li riceve da sloveni ma anche da italiani), anche in questo, la sua opera si può definire come una particolare miscela di elementi contradditori, romantici e razionalisti, che in qualche modo convivono in maniera armonica.
Da parte dei 19 deputati del Pcd’I eletti nel 1924 non vi furono interventi di rilievo in Parlamento volti a denunciare la grave situazione nella Venezia Giulia, questo pur considerando la provenienza di 2 di essi da queste zone, forse è da mettere in relazione al fatto che gravissime emergenze di natura democratica erano in atto e la durata della legislatura per i comunisti e i secessionisti fu relativamente breve. La questione delle minoranze slovena e croata fu invece affrontata a più riprese, nel corso degli Anni 20 e 30, in diversi numeri della rivista del Pcd’I Lo Stato Operaio. La presa di coscienza da parte dei comunisti italiani della persecuzione in corso nei confronti delle minoranze e della necessità di guardare a questi rapporti in un’ottica internazionalista, di autodeterminazione dei popoli e di lotta totale al fascismo è legata ai rapporti intrattenuti a livello sociale e politico con le popolazioni del luogo e determina la futura e naturale saldatura della Resistenza dei due Paesi, almeno nella componente socialcomunista, pur nelle rispettive autonomie e divergenze: questo, a mio parere, è da considerare un ulteriore punto di forza rispetto ad altre esperienze resistenziali.
L’atto finale della vita di Jože Srebrnič si svolge appunto in questo contesto: il suo ultimo intervento pubblico è a Cosbana/Kožbana il 9 luglio 1944 in occasione dei comizi elettorali per l’elezione dei Comitati popolari e si svolgono dinanzi a circa 2.000 persone, sloveni dei paesi contermini, alla presenza anche del rappresentante della missione alleata inglese maggiore Hedley Vincent “Tucker”, del parroco di Quisca/Kojsko Don Edko Ferjančič “Taras”, dei vertici dei partigiani della Garibaldi-Natisone Mario Fantini “Sasso” e Giovanni Padoan “Vanni”.
L’11 luglio 1944, le acque del fiume Isonzo, caro a entrambe le nazionalità, inghiottono Srebrnič e gli altri dirigenti comunisti sloveni. Nel 1953 a Jože Srebrnič è conferita dalla Jugoslavia l’onorificenza di Narodni heroj (la più alta onorificenza militare dello Stato jugoslavo).
L’oblio da parte delle Istituzioni italiane verso questa figura di deputato, di antifascista, di comunista, di internazionalista, di studioso del suo popolo, di rivoluzionario e di partigiano non rende giustizia a una delle figure che ha contribuito a rendere forte l’antifascismo italiano in questa martoriata zona di confine e che ha vissuto la convivenza, delle varie origini e culture, come un valore assoluto, un destino, quello della memoria, che accomuna nel tentativo del loro oblio altre importanti figure della nostra Resistenza. A queste “dimenticanze” si somma la visione distorta e lautamente finanziata, imposta dalla legge istitutiva della “Giornata del ricordo” che pone in secondo piano, quando non criminalizza, il movimento resistenziale nel nord est del nostro Paese.
Luciano Marcolini Provenza, Anpi Cividale del Friuli, componente presidenza Anpi provinciale Udine
NOTE
- Danilo Perčič in: AA.VV. – Giuseppe Srebrnič, parlamentare, antifascista, partigiano (Gorizia 1884-1944) – Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione – Udine 1987 – pag. 69
- Da “Primorske Novice” – Luglio 1959;
- I Consigli comunali sono sciolti con le cosiddette “leggi fascistissime”. Comuni sotto i 5000 abitanti con Legge n°237 del 4 febbraio 1926 (tra i quali il Comune di Salcano/Solkan) e gli altri Comuni con Legge n°1910 del 3 settembre 1926;
- Marija Bernetič: italianizzata Maria Bernetti con Decreto del Prefetto della Provincia di Trieste, Ettore Porro, del 30 giugno 1932. Ettore Porro (1874-1947) – Prefetto di Trieste dal 24 giugno 1929 al 5 gennaio 1933, dal 16 novembre 1933 è nominato Senatore a vita. Decaduto dalla carica con sentenza dell’Alta Corte di Giustizia per le Sanzioni contro il fascismo del 29 marzo 1946.Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia decorato con Gran Cordone, Cavaliere dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro, Ufficiale dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro, Commendatore dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro, Grande Ufficiale dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro decorato di Gran Cordone. Sul trattamento storico riservato dalle Istituzioni italiane a queste tre figure si veda: Ettore Porro, Marija Bernetič, Jože Srebrnič;
- Marija Bernetič – Discorso in occasione del 40° della morte di Srebrnič – 17.7.1984 in archivio Istituto Livio Saranz – Trieste;
- Nomi tratti da “Statistica delle Elezioni generali politiche per la XXVI Legislatura – 15 maggio 1921”. La corretta dicitura slovena è la seguente: Josip Lavrenčič, Virgil Šček, Karel Podgornik e Josip Vilfan. L’Italia, all’atto delle annessioni territoriali del 1920 intaccò non solo la toponomastica ma anche l’onomastica con conseguente lesione dell’identità non solo geografica ma anche personale intaccando uno dei fondamentali diritti della persona. La nostra Costituzione sancisce i diritti della persona come diritti inviolabili. Bisogna però attendere 24 anni, nel 1972, per legiferare sulla restituzione dei cognomi nelle province di Trento e Bolzano e ben 54 anni, nel 2001, perché si provveda con similari norme anche per la minoranza slovena.
- “l’Unità” 24 novembre 1925;
- “l’Unità” 19 agosto 1925;
- Archivio storico della Camera dei Deputati;
- Si tratta di Sartor Pietro, avvocato, comunista, nato a Sappada (all’epoca provincia di Belluno ora di Udine) il 16.12.1887, Residente a Roma;
- Archivio Centro Studi Ustica;
- Umberto Tommasini – Il fabbro anarchico. Autobiografia fra Trieste e Barcellona – Odradek 2011;
- Archivio Istituto Livio Saranz – Trieste;
- D. Kermavner – Iz spominov na Jožeta Srebrniča – Srečanja – Nova Gorica 1969;
- Umberto Tommasini – ibidem.
Bibliografia in lingua italiana
Ivan Regent – Jože Srebrnič – Primorski Dnevnik – Gorizia 1946; AA.VV. – Giuseppe Srebrnič, parlamentare, antifascista, partigiano (Gorizia 1884-1944) – Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione – Udine 1987
Pubblicato lunedì 8 Luglio 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/ci-guidavano-le-stelle/joze-srebrnic-internazionalista-identitario/