Il capo squadrista de “La disperatissima”, Alberto Landini

La squadra detta la ‘Disperatissima’ al comando di Alberto Landini, uno dei più attivi fascisti spezzini, che già a maggio 1921 con i suoi camerati  aveva distrutto la sezione comunista di San Terenzo, alla fine di gennaio del ’22 intraprese una nuova azione punitiva verso quella ribelle e riottosa frazione lericina. Come riportò ironicamente Il Libertario di giovedì 2 febbraio 1922: “Anche questo ridente tranquillo paese ha avuto la visita dei monelli… ricostruttori d’Italia”.

E poi narrò il drammatico fatto: “Domenica ultima scorsa, verso le due pomeridiane, mentre come al solito alcuni giovani stavano sulla piazza a discorrere del più e del meno e alcuni altri facevano la consueta partita a scopa, ecco che si sono visti improvvisamente apparire dalla strada carrozzabile, sette o otto fascisti provenienti da Spezia, tutti armati di nodosi bastoni. Appena giunti in mezzo alla piazza, si sparpagliarono e si slanciarono su alcuni giovani che portavano al taschino un fazzoletto rosso. Con epiteti volgari ed insensati, degni di questi nuovi ed unici rappresentanti della patria, strapparono quegli innocui fazzoletti. Avendo un giovanotto protestato, i fascisti si inviperirono di più ed uno di essi diede uno schiaffo al primo che gli capitò sotto mano, minacciandolo di bastonate e rivoltellate”.

Poi, ancora con ironia, l’articolo proseguiva il racconto: “Senza essere menomamente disturbati, si diressero verso Lerici, seguiti poco dopo da un’altra comitiva, proveniente sempre da Spezia. A Lerici vedendo un giovane col fazzoletto bianco e rosa, dopo averglielo tolto, lo bastonarono ben bene, lasciandolo quasi esanime. I carabinieri, a San Terenzo e a Lerici erano poco lontani, ma essendo, poverini, tutti quanti un po’ miopi, non si accorsero mai di nulla. Alla fine si decisero ad arrestarne due o tre, ma portati in caserma, vennero subito rilasciati, perché trovati completamente disarmati! È il colmo!”.

L’articolo de Il Libertario

E continuava: “All’hotel di San Terenzo una decina di essi cenarono ed amorosamente assistiti dai reali carabinieri, dopo aver girovagato per una buona parte della notte, a tarda ora se ne andarono a letto, stanchi morti per il loro faticoso lavoro. Oggi apprendiamo che il capo del fascismo locale (Emilio Biaggini, 1), in vena di far dello spirito, ha minacciato la fine del mondo. Fra le altre cose più amene ha detto che fra poco i fascisti ci piglieranno per un’orecchia e ci getteranno in mare dall’alto del ponte di attracco dei vaporini. E poi giù sassate e rivoltellate a ‘bizzeffe’ da farci morir di rabbia. Come si vede le intenzioni sono molto divertenti e alquanto futuristiche e avveniristiche che dir si voglia. Noi sovversivi aspettiamo con animo sereno e forte questo … pò pò di pericolo e ammoniamo i fascisti e particolarmente quelli locali, di non provocarci e di lasciar vivere in pace questa tranquilla popolazione, la quale non pensa che alle proprie occupazioni e non dà fastidio a nessuno”.

Alla fine dell’articolo un commento della Redazione: “Come si vede le provocazioni fasciste e la sconcia condotta del governo e dei suoi seguaci stanno sempre più esasperando gli animi. Eppure i fascisti di Spezia e specialmente quei quattro o cinque più pazzoidi, che più si distinguono nelle provocazioni sceme e selvagge, dovrebbero sapere che qua la massa operaia e sovversiva non intende tollerare questi metodi. Dunque finiscano prima che la corda si strappi. E le ipocrite autorità locali che sanno tener mano a tutte le imprese… patriottiche di questo genere, sappiano anch’esse che è ora di finirla colle sconce commedie”.

Ancora Il Libertario in un articolo del 12 febbraio raccontò come dalla fine di gennaio San Terenzo sembrava in stato d’assedio e denunciò l’aperto sostegno che i fascisti ricevevano dai carabinieri: “Appena avvenute le ultime provocazioni dei fascisti di Spezia narrate dal ‘Libertario’ i cittadini più autorevoli del Comune, i così detti pezzi grossi, si sentirono in dovere di protestare. Andarono dal sindaco per esternargli la propria indignazione, per le villane provocazioni fasciste contro alcuni cittadini. Il sindaco, un democratico della più bell’acqua, non sapendo che pesci pigliare, andò dal sottoprefetto. Il sottoprefetto, dopo aver ben ponzato la cosa, chiamò il maresciallo della caserma di Lerici e lo rimproverò, dicono, apertamente per la sua acquiescenza ai voleri dei fascisti. Per provvedere all’ormai dimenticato ordine pubblico, dopo giunse a Lerici un vero nugolo di carabinieri e venne dislocata una grossa pattuglia qui in SanTerenzo. Questa pattuglia è al comando di un appuntato che ama così l’ordine pubblico da passeggiare tutto il santissimo giorno e parte della notte, con i caporioni fascisti. Pochi giorni fa si sedettero sul muricciolo che fiancheggia la strada e il capintesta del fascismo locale si sentiva in dovere di indicare ogni sovversivo che passava all’appuntato, che per la sua imparzialità merita di essere senz’altro passato di grado. Come odiatore di sovversivi non se ne parla. Vede comunisti e Arditi del popolo dappertutto. Visita le osterie ed ogni tanto esclama, come un ossesso: «Vi metteremo tutti a posto»”.

Un marinaio comunista

Stefano Gabriele Paita

Stefano Gabriele Paita, 25 anni, figlio di Annunziata Raspolini, della nota famiglia sovversiva dei Barbantan di Romito Magra, faceva il marinaio sulle navi mercantili ed era infiammato dagli ideali comunisti. Era un attivo seguace dell’ex deputato operaio Angelo Bacigalupi (2) e, come scriveranno i carabinieri, “agli ordini del quale ostacolò il libero svolgersi della Rivoluzione Fascista nella zona di Lerici”. La sera del lunedì 13 febbraio, Arditi del Popolo lericini, tra i quali Stefano Gabriele Paita, decisero una azione dimostrativa contro i rappresentanti del fascismo locale come reazione a quanto accaduto nei mesi precedenti a San Terenzo.

Il primo obiettivo fu Fernando De Biasi che viveva nella frazione di Pugliola, sulla collina sovrastante Lerici. Fernando, responsabile del fascio locale, aveva 24 anni ed era figlio di imprenditore. L’azione di Stefano e dei suoi compagni consistette nell’immobilizzarlo sotto la minaccia di rivoltelle di fronte al bar del paese, perquisirlo e dopo una breve colluttazione sottrargli la pistola per poi allontanarsi. In quell’occasione Stefano si rivolse a Fernando dicendo: “Ricordati che io sono Paita Stefano, ardito del popolo di Lerici!”. I giovani scesero nel capoluogo e in un bar attesero l’arrivo di Duilio Biaggini (3), cugino di Emilio, giornalista e redattore de Il Tirreno, organo del fascismo spezzino che l’indomani titolò: “Aggressione a mano armata a Lerici. Il Segretario del Fascio ferito da tre rivoltellate”. In aiuto di Duilio infatti, erano accorsi Emilio Biaggini e un amico che erano stati leggermente feriti. Il giornale si meravigliò del fatto che nonostante tutt’intorno vi fossero ritrovi e caffè a quell’ora rigurgitanti di persone, “nessuno si mosse, nessuno accorse” .

Il Tirreno

Il giornale raccontò anche gli altri fatti di quella sera: “A Pugliola, il giovane De Biasi, figlio del proprietario delle Fornaci di Calce, veniva fermato da ignoti individui disarmato e bastonato”, ma il giornale non seppe collegare i due fatti. Nei giorni seguenti furono inviate a Lerici numerose forze dell’ordine, furono effettuate perquisizioni, arrestati alcuni sovversivi e raccolte le testimonianze tra le quali quelle di Emilio e del suo amico che dichiararono di aver riconosciuto “fra gli aggressori un tale Paita, detto il figlio della Barbantana” oltre ad altri ben noti sovversivi locali, fuggiti dopo l’aggressione verso la Serra. I carabinieri, che avevano raccolto anche la testimonianza di Fernando De Biasi, ebbero chiaro che a compiere le due azioni erano state le medesime persone.

Arditi del Popolo a Lerici

Come rilevarono gli inquirenti, all’inizio del 1922 si era costituito nella zona di Lerici un corpo di Arditi del Popolo fornito di armi e di munizioni che intendeva abbattere la locale organizzazione fascista. Nell’organizzazione di quel corpo armato ebbero parte preminente Angelo Bacigalupi e i componenti di un circolo della Serra, a tendenze comuniste, denominato ‘Sempre Avanti’. Quanto era avvenuto a febbraio tra Pugliola e Lerici suscitò una profonda impressione e una grave irritazione tra i fascisti che progettarono di recarsi numerosi a Lerici, ufficialmente solo per una manifestazione che servisse di ammonimento agli avversari. In realtà i fascisti della Spezia colsero l’occasione per mettere in atto alla Serra un’azione punitiva di rappresaglia con un preciso obiettivo: il circolo ‘Sempre Avanti!’ ovvero Angelo Bacigalupi e i suoi uomini. Questi ultimi, saputo quanto stava per accadere, si prepararono e all’ingresso del piccolo borgo sopra Lerici sbarrarono l’accesso al paese a chiunque, riproducendo, in scala minore, l’episodio della difesa di Sarzana dell’anno precedente.

Angelo Bacigalupi

Nel gruppo di fascisti spezzini che nel pomeriggio del 15 febbraio si diressero verso Lerici c’erano i più importanti capi dello squadrismo locale come Augusto Bertozzi, Guido Bosero, Giovanni Lubrani, Dialma Terzi e Alberto Landini. Dalla Spezia col tram, gli squadristi arrivarono al Muggiano da dove avrebbero raggiunto la Serra a piedi. Avendo avuto informazioni su quanto stava per accadere, la zona era stata presidiata massicciamente dalle gurdie e dai carabinieri che invitarono i fascisti ad aggirare San Terenzo e Lerici passando sulle colline che attorniavano i due paesi. A Pugliola si unirono al gruppo alcuni fascisti locali formando in tutto una squadra di 40 persone.

Anche gli uomini alla Serra furono allertati e si prepararono a ricevere l’assalto. Il grosso degli Arditi del Popolo con Bacigalupi si schierò sopra il bivio della Rocchetta, nei pressi della località chiamata ‘Due Catene’, mentre un’avanguardia di Arditi, tra i quali c’era Stefano, avrebbe aspettato i fascisti più a valle, vicino al cimitero dove, verso le 22.30, arrivò la squadra fascista. Stefano temerariamente si fece scorgere ma non essendo conosciuto poté dire di essere fascista e farsi accogliere nel gruppo che proseguì la sua marcia su due file indiane, una a sinistra e una a destra della strada.

Lerici, il castello di San Terenzo

Più avanti avrebbero trovato ad attenderli gli Arditi ma l’imprevisto era in agguato, infatti a un certo momento colui che guidava la spedizione pronunciò la parola d’ordine ‘Roma’, alla quale Stefano rispose ‘Rosa’ (casualmente il nome di sua nonna) anziché la parola convenzionale ‘Remo’. Questo fatto svelò ad Alberto Landini, che era vicino a lui, che il nuovo arrivato non era dei loro. Si scatenò un rapido diverbio, al quale seguirono diversi colpi di rivoltella con i quali si ferirono reciprocamente Landini e Paita. Fu a questo punto che iniziò in anticipo il conflitto a base di fucilate e lancio di bombe. Alla fine i fascisti ripiegarono portando via il loro ferito. Sulla strada, in una pozza di sangue, rimase solo Stefano Paita che venne raccolto dalle guardie regie che, allertate dagli spari, sopraggiunsero con un camion sino a poco prima fermo lungo la strada ad attendere gli eventi e a protezione dei fascisti. Sapendo che le indagini sarebbero state a senso unico, all’arrivo delle guardie gli Arditi del Popolo reduci dalla difesa della Serra, si dispersero nei boschi circostanti.

Achille Starace, al centro, partecipò alla marcia su Roma e sarà con Mussolini fino alla fine fuggendo con lui dopo la Liberazione

“È lui che mi ha sparato”

I due feriti si ritrovarono a Lerici in uno studio medico per le prime cure. Landini nel vedere l’altro individuo, identificato per Paita, esclamò: “Ecco chi mi ha sparato!”. E un carabiniere presente, riconobbe Stefano e gli disse: “Belle cose che fai!”. e quegli rispose: “È il mondo …”. E poi a una domanda circa i suoi compagni rispose: “Sono confuso, non mi ricordo”, allo scopo di non compromettersi e compromettere i compagni. Nelle tasche gli fu trovata una pistola e alcuni caricatori. I due feriti furono portati all’ospedale di Spezia e Alberto Landini morì nella notte. Nella mattina di domenica 19 febbraio si svolse il funerale a cui partecipò anche Achille Starace, vicesegretario del Partito Nazionale Fascista, espressamente arrivato alla Spezia. Il corteo che si snodò per la città fu aperto dalla squadra della Martoriata del fascio spezzino agli ordini di Terzi, con il gagliardetto portato dall’alfiere Lubrano. Il carro funebre ricoperto di bandiere tricolori e fiancheggiato dai fascisti scampati alla sparatoria era seguito dai familiari, da amici e conoscenti e poi dai rappresentanti del fascio spezzino con Starace. Seguivano rappresentanti di tutti i fasci e delle associazioni della Spezia e della Lunigiana tra i quali il Fascio di Sarzana con la «Disperata» e il Fascio di Lerici e San Terenzo con i membri del direttorio e la rappresentanza femminile. Il corteo terminò col vicesegretario nazionale che tenne un discorso “di poche e vibrate parole”, seguito secondo il cerimoniale dall’appello: “Fascista Alberto Landini … Presente!”.

La lapide di Landini

La situazione sembrava essersi calmata, ma già da mezzogiorno ripresero gli scontri in varie zone di Spezia. L’uccisione di Landini aveva provocato una feroce e indiscriminata reazione dei fascisti, allora già baldanzosi e ormai sicuri di avere il potere politico in mano. Landini fu seppellito al Cimitero dei Boschetti e sulla lapide sormontata da una statua alata fu inciso: “Ad Alberto Landini” … che alla patria e all’ideale sacrificò la balda giovinezza la famiglia straziata ma altera”.

Ancora Il Libertario del 23 febbraio, dopo aver riassunto il tragico fatto della Serra, proseguì profetizzando quello che effettivamente sarebbe avvenuto dopo qualche anno: “Tutto questo è sufficiente per intuire che anche nel Golfo della Spezia i moderni Unni, con la completa complicità di certa stampa, e delle autorità non soltanto locali, ma bensì quella ben più maggiore del sottoprefetto di Spezia, tentano di portarvi i metodi inaugurati nelle sciagurate regioni della Toscana e dell’Emilia, quello cioè di recarsi nottetempo nelle case dei migliori uomini che il proletariato ama, e portarvi il terrore con le sue inevitabili conseguenze. Perché è bene comprendere che i fatti successi, non sono che i prodromi di ben più gravi e tristi avvenimenti che accadranno a breve distanza, se gli organismi politici ed economici con tutte le forze a loro disposizione non arriveranno in tempo a sventare le manifestazioni feudali, che costoro tentano d’inaugurare non soltanto nel golfo, ma pure in città”.

Muore anche Paita

Il 2 marzo 1922, dopo 16 giorni di agonia, all’ospedale della Spezia morì anche Stefano Gabriele Paita. Prima del funerale, uno zio di Stefano (forse Dante o Sinibaldo) e un rappresentante del Comitato di Difesa Proletaria, quasi certamente Vittorio Cantarelli, si recarono alla Spezia in Sottoprefettura perché era necessaria l’approvazione per quanto avrebbe riportato l’annuncio funebre. Il manifesto fu censurato della parte centrale e il funerale fu spostato alla domenica mattina del 5 marzo, ufficialmente per consentire l’autopsia. Ecco il testo del manifesto con le frasi censurate: “Gli inconsolabili genitori, la desolata famiglia, i parenti tutti annunciano la morte del loro amato Paita Stefano Gabriele di anni 25 – Navigante avvenuta ieri mattina 2 c. alle ore 10, all’Ospedale Civile, dopo 16 giorni di strazianti sofferenze. Egli, animo buono, figlio amoroso, onesto infaticabile lavoratore, veniva in quel giorno da Genova quando la sventura volle che s’imbattesse nel tragico conflitto avvenuto alla Serra di Lerici la notte del 15 febbraio s. nel quale cadde. I funerali in forma civile avranno luogo domani, 4 c., alle ore 16.30, partendo dall’Ospedale V.E.III per il cimitero di Pugliola. La Spezia, 3 Marzo 1922”.

Il 4 marzo un trafiletto de Il Tirreno informò sull’istruttoria per i fatti di Lerici: “Nella prossima settimana presso il giudice istruttore del Tribunale di Sarzana avrà inizio l’interrogatorio dei testi per l’istruttoria circa l’aggressione a mano armata avvenuta la sera del tredici febbraio scorso nella quale rimanevano feriti da arma da fuoco due fascisti. L’istruttoria in corso si riferisce pure all’agguato della Serra che costava la vita al giovane fascista Alberto Landini della Spezia”. Neanche una parola su Stefano Paita e tanto meno sul suo funerale fino a martedì 7 marzo : “Nella mattinata di ieri domenica vennero svolti i funerali del comunista Paita deceduto giorni or sono all’Ospedale Civile della Spezia. Partendo dal Cimitero della Spezia si formò il corteo che proseguì fino al cimitero di Lerici. L’autorità aveva preso rigorose misure d’ordine con spiegamento di carabinieri e R. Guardie. Il corteo non attraversò nè San Terenzo nè Lerici; non avvennero incidenti”.

Il Libertario

Il giorno 9 uscì Il Libertario che, in prima pagina, titolò: “I funerali di Paita Stefano – I soprusi dell’autorità”. L’articolo conteneva una dettagliata cronaca di come era stato censurato l’annuncio proposto dalla famiglia e del fatto che era stata proibita l’affissione di un secondo manifesto del Comitato di Difesa Proletaria della Spezia. In quest’ultimo proclama, tra l’altro, si diceva di Stefano: “Soldato mite e buono dell’ideale è morto sognando l’aurora di pace per la quale ha sempre lottato. A lui che come ad innumerevoli altri fu tolta la vita, a lui che ha bagnato del proprio sangue il calvario della redenzione proletaria, i fiori della nostra fede viva di fratellanza e d’amore. Lavoratori, Compagni ! Non abbiamo più lacrime troppo abbiamo sofferto. La folla, che reverente seguirà le nostre bandiere, rendendo omaggio al caduto, sia monito a tutti ed a tutti ricordi che il dolore ritempra animi e spiriti, forgia coscienze nuove e da forza per continuare la lotta per impedire che le catene spezzate della schiavitù, siano nuovamente ribadite”.

Funerali di scarto

Mentre in occasione dei funerali di Landini i fascisti erano stati lasciati liberi di affiggere manifesti violenti e alla famiglia di scegliere il percorso per il cimitero, allo zio di Stefano e al rappresentante del Comitato era stato spiegato che per Stefano erano state adottate delle limitazioni perché era un pregiudicato, un delinquente e alle giuste osservazioni che il Paita era invece incensurato, si credette “dare seria prova in contrario col leggere le imputazioni affastellate in verbali dai carabinieri, dalla polizia e ai nemici del proletariato, in occasione del conflitto, appunto per creare una situazione favorevole ai fascisti” e, in particolare, si proibì il manifesto del Comitato perché mostrava Stefano “come un eroe”. Il settimanale suppose anche che la decisione di far tenere i funerali di domenica fosse stato “un misero pretesto escogitato dalla bassa mentalità poliziesca per impedire che la massa operaia della Spezia potesse in gran numero prender parte ai funerali”.

Il carro funebre coperto di due splendide corone della famiglia e di una del Comitato con nastro rosso che portava la scritta: «Il proletariato della Spezia a Paita Stefano» partì dunque dal cimitero dei Boschetti seguito dai famigliari, da un solo rappresentante del Comitato (poiché era difficile muoversi dato che quel giorno i tram erano in sciopero) e da un camion con le regie guardie. Il corteo arrivò al Muggiano e salì alle Tre Strade “dove erano adunate le numerose rappresentanze di associazioni economiche e politiche con bandiere rosse e nere delle località di Arcola, Lerici, Pitelli, San Terenzo, Sarzana, Romito, Serra ecc. Vi era pure la Pubblica Assistenza di Lerici della quale il Paita era socio, come pure altre consorelle. Si formò allora un imponente corteo. Le strade erano sbarrate da forti cordoni di carabinieri. Sul luogo dirigeva il servizio un funzionario di polizia di Sarzana, il quale imposto che il corteo non fosse seguito da bandiere, accondiscese soltanto che rimanesse spiegata la bandiera della Pubblica Assistenza di Lerici”.

La cerimonia con tutti gli onori per Landini, è il 1932

Di fronte alle proteste, il funzionario, nel modo più burbero, rispose che non intendeva discutere e così con “lo sdegno nel cuore, di fronte a così insensata provocazione, a così stomachevole arbitrio, i più calmi influirono sui più eccitabili e come muta, ma altamente significativa protesta, si tolsero tutti il cappello ed a capo scoperto, colle nude aste delle bandiere alzate, il grande imponente corteo, preceduto da un pattuglione di carabinieri e seguito da un’auto blindata, si mosse ancora più triste verso il Cimitero di Pugliola, salutato da ogni casa da una folla commossa piangente, che attestava come la cattiveria, la violenza, l’arbitrio non potevano soffocare nell’animo umano il dolore, l’affetto per la povera vittima della mischia sociale”. Al cimitero, dove immaginiamo fossero tutti i Barbantan, i parenti più stretti, gli zii e i cugini, parlò qualcuno a nome della famiglia per ringraziare i molti intervenuti e per dare alla salma il saluto dei repubblicani. Poi fu la volta del compagno Vittorio Cantarelli che parlò a nome del Comitato di Difesa Proletaria della Spezia, e poi di un socio della sezione marinara di Lerici e infine fu la volta di un giovane che parlò a nome dei socialisti e dei lavoratori di Lerici. Alle 11,30 la mesta cerimonia ebbe fine senza incidenti.

Lapide martiri fascisti ai Boschetti con il nome di Landini

Si può dire con sicurezza che, dopo i fatti della Serra, ebbe inizio, a partire dal marzo 1922, il forte esodo dalla zona di centinaia di antifascisti, operai, contadini, artigiani, intellettuali, appartenenti al Pcd’I, al Psi, agli anarchici e ai gruppi degli Arditi del Popolo. Fu un esodo costante che si indirizzò soprattutto verso la Francia. Per il decennale dei Fatti della Serra fu inaugurata una lapide che ricordava Alberto Landini nel luogo dove avvenne lo scontro. Presiedette la cerimonia Emilio Biaggini, a quel tempo segretario federale del fascio spezzino. Altra cerimonia si tenne a ottobre dello stesso anno per commemorare il decennale della Marcia su Roma. Fu inaugurato alla presenza del federale e delle più alte autorità locali, un monumento con una targa che riportava i nomi dei principali martiri fascisti dello spezzino tra i quali Alberto Landini.

La lapide di Paita

Pochi giorni dopo la Liberazione, il 1° maggio 1945, fu deciso di sostituire alla Serra la lapide dedicata al Landini con una lapide che ricordava Stefano Gabriele Paita al quale fu intitolata anche una via della Serra. Nel 1951 le sue spoglie furono traslate dal cimitero di Pugliola a quello di Lerici dove riposa assieme alla madre e al fratello.

Epilogo

Quando tra il 2018 e il 2019 intrapresi la ricerca storica sulla famiglia sovversiva dei Barbantan, iniziai partendo da una lapide a Romito Magra (frazione di Arcola, provincia della Spezia) che parlava di uno di loro, Dante Raspolini, ucciso dai fascisti durante i ‘Fatti della Spezia’ del 1923. Ogni anno, nella ricorrenza della Liberazione, la lapide veniva onorata dalle organizzazioni antifasciste locali e dell’amministrazione comunale. Parallelamente, lo stesso giorno, alla Serra (frazione di Lerici) veniva onorata una lapide dedicata a Stefano Gabriele Paita, rimasto ucciso in un conflitto a fuoco con i fascisti durante i ‘Fatti della Serra’ del 1922. Si era però persa la memoria di ciò che legava questi due omicidi.

Uno dei meriti della ricerca sui Barbantan sta proprio nell’aver portato alla luce lo stretto legame tra gli intestatari delle due lapidi. Nella ricerca infatti misi in evidenza che il comunista Stefano Paita era il nipote dell’anarchico Dante Raspolini, fratello di sua madre, e se Dante a gennaio 1923 fu scelto fra tanti, prelevato da casa e ucciso, era proprio a seguito dell’ideale sovversivo, oltre che di parentela, che univa zio e nipote. L’uccisione di Dante fu insomma una sorta di vendetta postuma del fascismo spezzino per l’uccisione di Alberto Landini. Ai primi di dicembre 2020 autopubblicai la ricerca col titolo “Dietro la lapide dei Barbantan”. I Barbantan furono persone che vissero sempre ‘in direzione ostinata e contraria’ e nel libro, oltre a quelle di Dante e Stefano Gabriele, sono ricostruite le vite avventurose di altri loro parenti e di persone loro contemporanee, insomma “un fascio di vite tenute assieme dalla mano del destino”.

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Alberto Incoronato, storico


NOTE

(1) Emilio Biaggini: nacque a Lerici nel 1896. Segretario del Fascismo lericino diventò sindaco poi podestà e in seguito segretario federale del Fascio spezzino. Nel 1939 fu nominato deputato.
(2) Angelo Bacigalupi: nacque a Castelnuovo Magra nel 1882. Eletto nel 1919 fu il primo deputato socialista della Spezia attivo sul fronte dei diritti dei lavoratori e nel periodo del biennio rosso partecipò all’occupazione di numerose fabbriche. Nel luglio del 1921, dopo l’assalto dei fascisti a Sarzana, aderì agli Arditi del Popolo. Bacigalupi fu inoltre il punto di riferimento del circolo ‘Sempre Avanti’, creato nel 1915 dai socialisti come luogo “per il divertimento lecito ed onesto, nonché la cura dell’educazione morale dei suoi associati”. Nel 1921 non si ricandidò a causa delle violente persecuzioni cui era sottoposto dai fascisti assieme alla sua famiglia. Arrestato per aver organizzato gli scontri del 15 febbraio 1922 (Fatti della Serra) fu processato e condannato. Venne rilasciato per motivi di salute nel 1925, anno in cui si trasferì in Francia.
(3) Duilio Biaggini: giornalista, redattore prima de Il Tirreno e in seguito de Il Giornale d’Italia.