Carlo Smuraglia. Il nome ora è solennemente inciso sul marmo del Famedio di Milano, il tempio laico del bellissimo cimitero monumentale dedicato alla memoria di personalità che hanno lasciato un segno, riassumono un prima e un dopo, facendo grande la storia cittadina e del Paese.
Un’iscrizione nel luogo dove riposano Alessandro Manzoni, Leo Valiani, Salvatore Quasimodo, Carla Fracci, Dario Fo con Franca Rame, Alda Merini, tra gli altri. Cammini tra il busto di Giuseppe Verdi e quello di Giuseppe Mazzini, scorri i nomi impressi nella preziosa pietra e hai quasi una vertigine.
Aldo Aniasi, Elio Vittorini, Giovanni Pesce, il cardinale Carlo Maria Martini, Enzo Biagi, Umberto Eco, Nedo Fiano, Rossana Rossanda, Mariangela Melato, Luciano Pavarotti, Gino Strada, solo per citare qualcuno tra i giganti che hanno reso famosa l’Italia nel mondo in ogni campo della cultura, dell’arte, del diritto, di ogni attività umana e anche della politica. Ma quella che sa ascoltare e dare risposta ai bisogni delle persone. E non è un caso che il regolamento per far parte di quel prestigioso elenco sia rimasto immutato dal 1884, solo in parte modificato nel 1904.
Carlo Smuraglia. Quattordici lettere per una perenne memoria, compagna e guida del futuro.
In tanti avevano chiesto l’iscrizione di Smuraglia al Pantheon degli illustri, fin dal giorno dell’ultimo saluto nella sala Alessi di Palazzo Marino, lo scorso giugno, affollata di personalità della cultura, della politica, del sindacato arrivate da tutta Italia, insieme a tante persone comuni che lo avevano conosciuto e stimato.
Lo aveva proposto l’associazione dei partigiani con il presidente nazionale, Gianfranco Pagliarulo, durante l’orazione funebre, dando voce a chi accalcava la piazza e sceglieva i canti della Resistenza per esprimere affetto, vicinanza e tanto dolore. Che non ti aspetti, prima di provarlo, se non sei un familiare, per la scomparsa di una persona alla soglia dei 99 anni.
Perché Smuraglia sapeva farsi voler bene, eppure paradossalmente non ne era pienamente consapevole, come rivelava quel suo tipico sorriso, timido e tenero, quasi stridente in una personalità da leone. Dovuta forse non al carattere – schivo sa bene chi lo conosceva intimamente – piuttosto a un enorme senso di responsabilità costruito, immaginiamo, nei mesi della lotta contro l’occupante nazifascista.
Si suol dire che ogni biografia nasconde un romanzo, ma ricostruire quella di Smuraglia è e sarà un’impresa titanica per chiunque, soprattutto perché non può prescindere dalla grande storia. E qui non osiamo ripercorrerla ma solo indicare qualche passaggio che in pochi forse conoscono o rammentano. Non torneremo dunque sulla straordinaria difesa della Costituzione con il referendum del 2016, né sul protocollo Anpi-Ministero dell’Istruzione, né dell’Atlante delle stragi nazifasciste o dell’input alla ricerca storiografica per il contributo del Mezzogiorno alla lotta di Liberazione, e neppure parleremo della legge per il recupero dei detenuti, né dell’impegno per la tutela della salute nei luoghi di lavoro e dell’ambiente (sensibilità dimostrata come rappresentante di parte civile delle famiglie di Seveso travolte dal disastro ambientale della fuga di diossina).
Il riconoscimento al Famedio arriva dopo due iniziative che, a Roma a livello nazionale e l’altra nella sua città, hanno voluto rendere dovuto omaggio a Smuraglia e al contempo fatto capire che l’immensa mole del contributo offerto alla democrazia va ancora esplorata.
“Ha combattuto da partigiano per la Liberazione e la democrazia – riporta il libretto con cui ogni anno il Comune di Milano pubblica le motivazioni delle nuove iscrizioni al Famedio –, da avvocato e da politico per la difesa e il rispetto dei diritti e della Costituzione. Smuraglia è stato un uomo che ha scelto da che parte stare, e ha speso la sua vita per la difesa dei valori e delle cause nei quali ha creduto. Da studente universitario ha rifiutato la chiamata di leva della Rsi ed è entrato volontario nella Divisione Cremona del Corpo Italiano di Liberazione”.
Nato ad Ancona nel 1923, padre ferroviere incarcerato per possesso di un volantino antifascista, Carlo Smuraglia è studente in legge alla prestigiosa Scuola Sant’Anna di Pisa – con professori quali Delio Cantimori e Cesare Luporini – alla firma dell’armistizio. E lui che già era stato sospeso per aver inneggiato, scrivendo sui muri, alla festa dei lavoratori (soppressa dal regime) sceglie di tornare a casa, o meglio di combattere sulle montagne delle Marche.
Entra nei Gap comunisti operanti sulla Serra San Quirico intrecciando il cammino resistente con quello di una grande personalità tornata da Milano per combattere nei luoghi di cui era originario: il futuro presidente Eni Enrico Mattei, comandante delle formazioni partigiane di tutta la regione. Il cattolico Mattei è vicino ai 40 anni, con un passato e relazioni antifasciste imponenti. I due non hanno modo di conoscersi personalmente, né mai si incontreranno più tardi. Mattei morirà nel 1962 in un incidente aereo, il primo dei “grandi misteri italiani” che costellano il dopoguerra.
Smuraglia, come altri partigiani, non amava rievocare le azioni di guerra, non ne parlava mai, e nemmeno, al pari di tantissimi, aveva chiesto il riconoscimento dell’attività in montagna.
Ma a certificare il suo status di partigiano combattente era stato proprio Mattei. Chiarissima la firma nella scheda datata 1946.
Un documento rimasto seppellito per decenni nei fascicoli del Ricompart, l’ufficio del ministero della difesa istituito dal Presidente del Consiglio Ferruccio Parri nell’agosto 1945 per il “Riconoscimento delle qualifiche e delle ricompense ai partigiani”. Oltre 700 mila fascicoli e quasi altrettante schede ora conservati, grazie all’Anpi, all’Archivio Centrale dello Stato.
Quando Mattei sottoscrive l’attestato è un uomo di primo piano della Repubblica: militarmente è stato il massimo rappresentante Dc nel Comando generale del Corpo Volontari della Libertà, ritratto nella celebre sfilata di Milano del 6 maggio 1945, e ha fatto parte della Consulta nazionale (incaricata di preparare l’Assemblea costituente).
Mattei attesta che il giovane Carlo ha combattuto sulla Serra San Quirico dal 1° novembre 1943 al 18 luglio 1944, data della Liberazione di Ancona. Per il resto non servono dichiarazioni: il Corpo Italiano di Liberazione fa parte del risorto esercito a tutti gli effetti. Con il Cil, Gruppo di combattimento “Cremona”, alle dipendenze operative dell’Ottava Armata britannica, Smuraglia libererà Alfonsine, dopo una battaglia entrata nella leggenda, e poi altre città del Nord.
Alla piccola località romagnola era particolarmente legato. Dopo aver letto un articolo scritto da una giovane iscritta Anpi per Patria, di cui era stato direttore editoriale, mandò una mail. Era il 3 maggio, ci avrebbe lasciato il 30 del mese: «Carissimi, ho letto con molto piacere l’articolo Alfonsine, il profumo della Liberazione diffusa, non solo perché si tratta di un articolo chiaro e bello, ma anche perché richiama una data, 10 aprile, e un luogo, Alfonsine, a cui sono affezionato e involontariamente legato non solo per ragioni politiche, ma anche per motivi personali. Poiché, ad Alfonsine, nella data che ricordate, io c’ero e ne ho un ricordo indelebile, non solo per le condizioni in cui la guerra aveva ridotto la città, ma anche per l’affetto con cui i partigiani e i combattenti della divisione Cremona vi furono accolti. Qualcosa di più grande e di più significativo della “memoria” sempre – di per sé – di fondamentale importanza. Quando giungemmo ad Alfonsine pochi erano i muri ancora in piedi e l’impressione che si ricavava era quella di una città distrutta. “Liberare” Alfonsine era, dunque, qualcosa di più che contribuire a una rinascita. Era il segno di una partecipazione diffusa a un impegno di libertà, che è tra i ricordi più grandi e belli della mia vita». E ringraziava lui, Presidente emerito dell’Anpi, la giovane autrice per aver «ricordato quei giorni e aver dato vivacità a un ricordo che comunque non verrà mai meno». Scriveva questo Smuraglia poche settimane prima di morire, confermando fino all’ultimo il grande amore e senso di responsabilità verso le giovani generazioni.
Alla fine della guerra il giovane Smuraglia torna a Pisa, “si laurea in Giurisprudenza nel 1946” ripercorre il Comune di Milano. È l’anno dell’attestato partigiano, Carlo si impegna nel territorio, fa attività politica, ricopre una carica in quelle istituzioni pubbliche conquistate con la democrazia e la Costituzione: è assessore provinciale alla Giustizia dal 1947 al 1960.
Non deve essere stato semplice per la Commissione consultiva delle onoranze al Famedio scegliere le tappe più importanti di un’esistenza lunga e piena, e di una “brillante carriera come avvocato, politico e docente universitario. Smuraglia comincia la carriera di docente universitario: il diritto del lavoro e della salute del lavoro sono e resteranno i suoi principali interessi. Contemporaneamente inizia a praticare la professione di avvocato, difende i partigiani. Sono processi politici. Sotto accusa è la Resistenza. Nella città della Torre, in Corte d’Assise, insieme ai fondatori dei Comitati Solidarietà Democratica Umberto Terracini e Lelio Basso, è il legale dei combattenti e riesce a farne assolvere un intero gruppo.
L’etica partigiana non si dismette. Nel 1960 è Smuraglia a difendere le cinque famiglie dei morti di Reggio Emilia, vittime delle cariche di polizia e carabinieri ordinate da Tambroni: le famiglie di Ovidio Franchi, Afro Tondelli, Marino Serri, Reverberi e Farioli.
“Da legale – prosegue la testimonianza del Famedio – ha seguito alcuni dei processi più significativi dal punto di vista politico per il Paese, assumendo la difesa della famiglia del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli”.
Dalla Toscana si era trasferito a Milano il partigiano Smuraglia: “Docente – informa il libretto del Famedio – alle università di Pavia e Milano, è stato eletto consigliere regionale e poi Presidente del Consiglio Regionale Lombardo”. Lui, un comunista eletto con il Pci.
Ancora. Venne “scelto dal Parlamento come membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura”. Non gli renderanno vita facile, avevano capito che tipo era.
Negli anni Settanta, Smuraglia era stato pure rappresentante di parte civile nel processo contro i ndranghetisti che avevano rapito per estorsione e ucciso una giovane di 18 anni, Cristina Mazzotti, ottenendo otto condanne all’ergastolo. Attenzione, dovranno passare ancora decenni prima che la città abbia piena contezza di quanto la malavita organizzata abbia messo le mani sulla città di Milano.
Nel 1976 è uno dei tre Pm per lo scandalo Lockheed, un grave caso corruzione internazionale e pagamento di tangenti che la statunitense corporation ha pagato per favorire l’acquisto degli aerei americani Hercules C-130 da parte del governo. Le mazzette sono finite a dirigenti e politici, ministri compresi. Il processo si tiene davanti alla Corte Costituzionale, nell’unico caso in tutta la storia del nostro Paese in cui la Consulta è chiamata a ricoprire un ruolo giudicante in un processo penale. Solo più tardi nascerà il Tribunale dei ministri. In quell’occasione però se i giudici ci sono, non è così per i Pm ed è il Parlamento a indicarli dopo una votazione.
Sarà il Presidente della Camera Pietro Ingrao a comunicare che l’incarico di Commissario d’accusa era stato affidato agli onorevoli Gallo (Dc), Dall’ora (Psi) e Smuraglia (Pci). Che in quel periodo è presidente del Consiglio regionale lombardo e si divide tra Roma e Milano senza risparmiare energie. Sua la requisitoria che porta alle condanne. Dopo due anni di lavoro e ventitré giorni di camera di consiglio, il 1° marzo 1979 il presidente della Corte Costituzionale legge la sentenza: due anni e quattro mesi di reclusione all’ex ministro Mario Tanassi. Non era mai accaduto. E nemmeno che un Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, dovesse dimettersi per le ombre sollevate dalla vicenda.
C’è un episodio finora poco raccontato nell’esperienza al Consiglio Superiore della Magistratura, che andrà avanti dal 1986 al 1990.
Presidente della Repubblica e dunque numero uno del Csm è Cossiga. Oltre alla pratica Falcone (una pagina sofferta e ignobile raccontata proprio da Smuraglia) c’è una seduta di quelle che fanno la differenza: si deve eleggere il vicepresidente. Durante le votazioni la tensione sale, il comunista Smuraglia sembra favorito, si rischia la parità con un altro componente democristiano, che però è più giovane. Le regole stabiliscono che in caso di ex equo la nomina vada al più anziano. Ebbene, accade un’altra volta un fatto che mai più si ripeterà nella storia dell’organo costituzionale. A votare, mandando in pezzi una tradizione collaudata, è anche il Presidente della Repubblica Cossiga. E Smuraglia non verrà eletto.
Seguiamo il libretto del tempio della fama: “Tra il 1992 e il 2001 è stato per tre legislature Senatore della Repubblica”. Ed ecco che grazie a Smuraglia anche l’Anpi, con i suoi uomini e le sue donne, è entrata nel Famedio: “Nel 2011 è diventato presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e poi, dal 2017, presidente emerito, dando un’ulteriore, straordinaria prova di passione civica e impegno pubblico”.
Un tributo riconosciuto anche dal Capo dello Stato. La motivazione dell’onore infatti si conclude con le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “Una delle ultime figure del movimento partigiano che concorse alla fondazione della Repubblica e a vivificarne la democrazia”.
«L’iscrizione di Smuraglia al Famedio – sottolinea il vicepresidente nazionale Vicario Anpi, Carlo Ghezzi, milanese che più non si può – è un riconoscimento importante a una personalità come la sua. Ha rappresentato la sinistra, il meglio del giuslavorismo, la difesa costante della democrazia, l’antifascismo e l’Anpi, della quale è stato presidente. È tra i grandi uomini che hanno fatto ricca e grande una realtà complessa e importante come Milano ed è un onore per l’organizzazione che ha avuto l’opportunità di averlo come presidente in una fase delicatissima della propria storia».
Carlo Smuraglia. Quell’iscrizione sul marmo del Famedio riassume davvero oltre 80 anni della migliore storia d’Italia e insieme sembra quasi rievocare l’ultimo saluto della gente di Milano accorsa in piazza per i funerali: i nostri partigiani non moriranno mai.
Pubblicato martedì 15 Novembre 2022
Stampato il 22/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/ci-guidavano-le-stelle/con-carlo-smuraglia-anche-lanpi-tra-i-grandi-del-famedio/