Nella prima strofe di Correspondances, uno dei più celebri (meritatamente) componimenti dei Fiori del male di Charles Baudelaire, la natura è paragonata a «una foresta di simboli che l’uomo / attraversa nel raggio dei loro sguardi familiari» (la traduzione è di Giovanni Raboni). Il grande poeta francese voleva dire che il nostro mondo è affollato di simboli, sebbene, per assuefazione, non li riconosciamo come tali, o non sappiamo decifrarne il significato. Pur tuttavia, su che cosa debba intendersi per «simbolo» non esiste un accordo generale. La teoria della letteratura, ad esempio, discute ancora sulla differenza fra simbolo, allegoria e metafora; e la semiotica tradisce qualche difficoltà a distinguere il simbolo dall’icona e dall’indice. Per solito, il valore di simbolo è attribuito a un oggetto le cui caratteristiche designano, per analogia, determinate proprietà, funzioni, condizioni (il leone simboleggia la forza, ma anche la regalità; negli anni del boom economico, l’automobile e gli elettrodomestici erano considerati status symbols del benessere neocapitalistico), oppure a un segno che, per convenzione, esprime uno o più concetti (a partire da un dato momento storico, la falce e il martello sono divenuti il simbolo degli ideali di uguaglianza, di giustizia sociale, di emancipazione propugnati dal movimento operaio).
Orbene: per quanto strano possa sembrare, nella giungla di simboli che ci circonda va compresa anche la tessera di un partito, di un sindacato, di un’associazione. A differenza delle tessere annonarie, delle tessere di riconoscimento, delle tessere omaggio e di altri consimili documenti, quel piccolo rettangolo di carta o di plastica non ha una finalità utilitaristica; non costituisce neppure un semplice attestato, una ricevuta, un certificato. Ritirando la tessera, gli aderenti a una qualsiasi organizzazione ne accettano il programma, s’impegnano a rispettarne lo statuto e i regolamenti ma al tempo stesso, e soprattutto, si riconoscono nei principi, negli ideali, nei valori cui quel soggetto collettivo si ispira, e che intende affermare; di più: entrano a far parte di una comunità (mi ricordo di compagni che tenevano la tessera nel portafoglio, accanto alle fotografie dei loro cari). In questo senso, la tessera rappresenta il simbolo di un legame, di un’appartenenza, di una condivisione; per fare il caso nostro, coloro che si iscrivono all’Anpi scelgono di entrare a far parte della vasta famiglia dei democratici e degli antifascisti, e sono affratellati dall’imperativo etico-civile non soltanto di tutelare la memoria della Resistenza, ma anche di battersi affinché il lascito di quella straordinaria esperienza sia messo pienamente a frutto nel presente e nel futuro.
A ben vedere, però, la tessera dell’Anpi è un simbolo che contiene un altro simbolo: mi riferisco al logo dell’Associazione, nella cui sobria ed efficace stilizzazione grafica sono trasposti e custoditi il coraggio, la determinazione, l’abnegazione, i sacrifici, il tributo di sangue di quanti oltre settant’anni fa, nelle campagne sui monti e nelle città, combatterono per liberare l’Italia dall’infamia della dittatura, per porre fine alla guerra e alla tragedia dell’occupazione nazista. Quel logo tiene vivi e tramanda le passioni e le idealità dei partigiani ma anche l’impegno generoso di tutti coloro che, nei decenni della storia repubblicana, si sono fermamente opposti ai rigurgiti del neofascismo, hanno denunciato le sopravvivenze della sua funesta ideologia, ne hanno contrastato energicamente le insidie, si sono battuti senza risparmio per affermare l’attualità della Resistenza, per realizzare coerentemente i nobili fini che l’avevano animata. Quest’anno, poi, la tessera dell’Anpi reca un ulteriore simbolo: alludo alla riproduzione anastatica (ovviamente in miniatura) del frontespizio del numero della «Gazzetta Ufficiale» in cui fu pubblicato il testo della Costituzione. La carta fondamentale, al di là della sua rilevanza formale e giuridica, riveste infatti una valenza simbolica: rappresenta la pietra angolare e il presidio della democrazia repubblicana, ne dichiara la matrice antifascista, è avvertita da molti come garanzia di un avvenire di libertà, di pace, di solidarietà, di progresso.
Per tutte queste ragioni, la nostra festa del tesseramento è tutt’altro che un rito obsoleto; è una cerimonia in cui si rinnova un patto solenne, si conferma una corale assunzione di responsabilità; è l’occasione in cui si ribadisce la comune volontà di bonificare il tessuto sociale dai veleni ideologici (a cominciare dal nazionalismo sciovinista, dal razzismo, dall’intolleranza xenofoba, dal culto della violenza, dalla demagogia populista, dall’omofobia) inoculati dal vecchio e dal nuovo fascismo, come pure di continuare a lottare per un mondo migliore. La festa del tesseramento è l’omaggio reso a un simbolo, ma anche un atto che ne accresce il prestigio e la dignità, conferendogli una forza fuori dell’ordinario.
Ferdinando Pappalardo, già docente presso l’Università degli Studi di Bari, già parlamentare, presidente dell’Anpi provinciale di Bari, membro del Comitato nazionale Anpi
Pubblicato martedì 23 Gennaio 2018
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