Se c’è un momento in cui conservare il cuore caldo e la mente fredda è esattamente questo. Nelle prime ore della mattina successiva all’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe abbiamo riunito in sessione straordinaria la Segreteria nazionale e abbiamo rapidamente approvato un documento in cui si condanna fermamente tale invasione. Non ci possono essere dubbi, perplessità, esitazioni: si tratta di una clamorosa violazione del principio dell’autodeterminazione dei popoli, di una iniziativa che spinge l’Europa sull’orlo di un conflitto globale nel segno di una logica imperiale che contrasta col nuovo mondo multipolare.
Questo non vuol dire ignorare il contesto antico e recente in cui si colloca l’intervento militare russo, le responsabilità che hanno portato negli ultimi decenni a un continuo innalzamento della tensione internazionale, dall’ininterrotto allargamento della presenza della Nato che dal 2004 al 2020 ha accresciuto il numero dei Paesi membri da 16 a 30, al ruolo degli Stati Uniti che fin dai tempi della scossa di Maidan (2014) hanno mantenuto una presenza diretta e indiretta in tutte le vicende dell’Ucraina, al conflitto del Donbass che da otto anni insanguina quella regione con un altissimo numero di vittime civili, alla non applicazione da parte delle autorità ucraine degli accordi di Minsk relativi all’autonomia regionale dello stesso Donbass, alla presenza violenta di organizzazioni nazifasciste armate che hanno pesantemente condizionato la vita dell’Ucraina da Maidan in poi. Al carattere autocratico del governo russo, ai restringimenti della libertà di informazione, ai misteriosi decessi di personalità russe attribuiti all’azione dei servizi segreti di Mosca, l’Unione Europea ha spesso risposto con un atteggiamento sanzionatorio e competitivo, ampliando un fossato che col tempo si è allargato a dismisura.
Tutto ciò che è successo in passato, comunque lo si voglia interpretare, non può mai giustificare l’invasione di un Paese sovrano a maggior ragione da parte di una potenza infinitamente soverchiante dal punto di vista militare. Siamo perciò oggi davanti a due drammatici problemi. Il primo: come far sì che si arrivi al più presto al cessate il fuoco e alla fuoriuscita delle armate russe dall’Ucraina. Il secondo: come evitare il rischio di una espansione della guerra, che avrebbe esiti semplicemente catastrofici.
La prima questione si risolve soltanto con una positiva ed equilibrata conclusione di un negoziato. Mentre scrivo è tutto ancora incerto. Colpisce però che tale negoziato veda di fatto protagonisti soltanto la Federazione russa e l’Ucraina, oltre al ruolo collaterale del filorusso Lukaschenko. Colpisce altresì che la Cina si sia candidata a un ruolo di mediazione. Ben venga la Cina, ma è assolutamente necessaria una funzione negoziatrice dell’Unione Europea che, come si è ragionevolmente avanzato in questi giorni, potrebbe essere svolta da Angela Merkel. Ma occorre che questo avvenga, e avvenga subito. Non c’è un minuto da perdere perché nel tempo che passa aumentano i morti in Ucraina e corrono le lancette che ci avvicinano a una possibile generalizzazione del conflitto.
La seconda questione deve partire dalle parole del Presidente Biden, quando ha affermato che le sanzioni sono l’unico modo per non rischiare la terza guerra mondiale. È perciò imperativo porsi la seguente domanda: e se le sanzioni fallissero? Ecco perché il lavoro per il raffreddamento delle tensioni è un obbligo a cui siamo tutti chiamati per evitare che si apra la possibilità di una conflagrazione generale.
L’Anpi ha dichiarato di non condividere la scelta, recentemente approvata dal Parlamento italiano, di inviare materiale bellico in Ucraina. Una delle ragioni che ci hanno portato a criticare questa scelta è il logico timore che la Federazione russa interpreti questo gesto, che si configura formalmente come la cessione di materiale bellico dello Stato italiano a un altro Stato in guerra, come un atto di cobelligeranza dell’Italia. Naturalmente tale preoccupazione è rivolta anche agli altri Paesi europei che hanno fatto la stessa scelta. Si tratta, in sostanza, di una opzione che a nostro avviso accresce ulteriormente il fuoco che sta divorando l’Europa e che potrebbe mettere a rischio la sicurezza nazionale del nostro Paese. Sono legittime le preoccupazioni di chi, nell’esprimere solidarietà alla resistenza ucraina ritiene giusto l’invio di materiale bellico in quel Paese, ma tali preoccupazioni spesso si fondano su di un parallelo sbagliato: quando si paragona tutto ciò al rifornimento di armamenti ai partigiani dalle potenze alleate si dimentica che le potenze alleate erano in guerra contro i Paesi del Patto d’Acciaio. Cioè c’era già la guerra, la Seconda guerra mondiale. Oggi non c’è, e questa scelta, proprio in base a quel paragone, potrebbe contribuire a far perdere qualsiasi controllo della situazione scivolando verso lo scenario peggiore, senza dimenticarci mai l’ospite inquietante del tempo che viviamo: il nucleare. Ci sono altri strumenti di dissuasione, molto più efficaci, a cominciare dalle sanzioni mirate e tali da non danneggiare gli interessi dei Paesi UE.
In questi giorni cogliamo episodi e dichiarazioni quantomeno inquietanti: dal grottesco rifiuto (poi rientrato) opposto all’accademico Paolo Nori di svolgere alcune lezioni su Dostoevskij programmate da tempo all’università Bicocca di Milano, al linciaggio mediatico del giornalista Rai Marc Innaro accusato di fare propaganda filo-Putin per aver raccontato il contesto storico in cui si colloca la guerra in Ucraina, agli attacchi volgari all’Anpi per le sue prese di posizione. C’è il rischio di una militarizzazione del dibattito pubblico in cui la propaganda vince sulla logica, la censura sulla libera informazione, il tifo da stadio sul buonsenso. Nella militarizzazione delle idee c’è sempre uno sconfitto: la verità.
In questa situazione dobbiamo operare evitando di cadere nella trappola: dobbiamo denunciare un clima di crescente intolleranza e trasformare la cultura dello scontro nella cultura del confronto. È legittimo avere opinioni diverse a condizione del reciproco rispetto, senza mai dimenticare gli interessi generali del nostro Paese che richiedono l’unità di tutte le forze che vogliono cambiare l’Italia trasformandola in senso progressista. Nel giro di due mesi l’inflazione è passata dall’inquietante 3,8% a più del 5%, e uno degli effetti delle sanzioni e della guerra sarà sicuramente quello di accelerare il caro prezzi che è la più ingiusta delle tasse sui poveri.
Contrastare l’intolleranza, avere una visione dell’orizzonte, mantenere salde le posizioni dell’Anpi salvaguardando in modo rigoroso la nostra autonomia e la nostra vocazione unitaria. Questo è lo spirito con cui ci siamo positivamente incontrati ieri col Segretario del Pd Enrico Letta, rimarcando la nostra diversità di opinioni sull’invio di armamenti in Ucraina e contestualmente mantenendo aperta qualsiasi prospettiva di lavoro per la pace. In parole povere, No alla militarizzazione dello scontro, Sì al confronto.
Operare nel tragico presente vuol dire anche pensare al futuro. La terra che va da Lisbona agli Urali è senza soluzione di continuità. C’è un’Europa geografica che è inesorabilmente indivisibile. Dobbiamo porre le condizioni perché domani sia bandita ogni guerra dal nostro continente e si proceda a passo accelerato sulla via di una nuova coesistenza pacifica. Per questo pensiamo che a tutti i livelli, istituzionali e politici, da Bruxelles a Roma, bisognerebbe avviare lo studio di una conferenza internazionale sulla sicurezza e sulla cooperazione in Europa. C’è un precedente: la Conferenza di Helsinki e il conseguente documento sottoscritto da 35 Paesi il 1° agosto 1975. In quel documento si sottoscrissero dieci princìpi fra cui l’inviolabilità delle frontiere e la risoluzione pacifica delle controversie. Oggi va ripensata l’Europa con una speciale attenzione su due obiettivi: la costituzione di una zona di confine fra la Federazione russa e gli altri Paesi smilitarizzata e denuclearizzata; un patto di progressiva riduzione della presenza di arsenali nucleari in tutto il mondo a partire dal territorio europeo.
Non è solo un appello che lanciamo ai governi europei, nessuno escluso; è anche una necessità storica e politica a salvaguardia della vita e del futuro di 600 milioni di persone.
Siamo stati fra i primi a proporre e a promuovere una nuova, urgentissima, mobilitazione per la pace e a dar voce a quel movimento pacifista che, come un fiume carsico, emerge impetuosamente dal sottosuolo nei momenti più drammatici della storia degli ultimi decenni. Viviamo uno di questi momenti, forse il più grave dal dopoguerra. In questi giorni in tantissime città d’Italia le piazze si sono riempite di manifestanti che, anche con opinioni fra loro diverse, hanno gridato No alla guerra e solidarietà al popolo ucraino. Adesso è il momento di fare come in Germania: qualche giorno fa il cielo sopra Berlino ha visto sfilare 500mila persone. Ora è il turno del nostro Paese, è il turno del cielo di Roma. L’appuntamento è sabato 5 marzo alle 13,30 a piazza della Repubblica. Non mancherete. Non mancheremo.
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi
Pubblicato giovedì 3 Marzo 2022
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