Patria Indipendente prosegue a raccontare di un impegno preso nel 2022 in sede di Congresso: una Conferenza di Organizzazione del Mezzogiorno. Ora in programma, avrà l’obiettivo di rilanciare la presenza dell’Associazione nei territori del Sud, soprattutto in un momento difficile per la storia del Paese e di guerre nel mondo. Dopo l’intervento illustrativo del vicepresidente nazionale vicario Anpi, Carlo Ghezzi, le interviste ai dirigenti Angelo Lauricella e Ciro Raia, ecco cosa ci ha detto Michele Petraroia, componente della Commissione nazionale di Garanzia dell’Anpi, persona che ben conosce i problemi e le attese del nostro Meridione.
Cosa si aspetta Petraroia dalla Conferenza di Organizzazione?
Per prima cosa vorrei precisare che la Conferenza, inizialmente prevista per marzo, è stata posticipata al 6 e 7 aprile. Ritengo che questo sia un appuntamento importante e siamo orgogliosi come antifascisti del Sud che l’Anpi nazionale, una delle più grandi e storiche organizzazioni del nostro Paese, faccia una conferenza per il Mezzogiorno. È una scelta del Comitato nazionale che ci gratifica perché ci porterà automaticamente ad essere attenzionati da tutta l’associazione in un momento di arricchimento e rafforzamento in generale e con un contributo specifico delle otto regioni del Sud dove nel corso di questi ultimi anni vi è stata una crescita esponenziale e un grande radicamento dell’Anpi. Di questo prendiamo atto. Posso testimoniare anche sulla crescita qualitativa delle iniziative, delle attività e dei progetti della nostra organizzazione, della collaborazione e del riconoscimento da parte delle istituzioni. Avendo operato anche in realtà del Centro-Nord, ho avuto modo di osservare quanto lì vi fosse un consolidato che veniva da lontano in termini di studio e attività, mentre nel Mezzogiorno si partiva da una situazione di maggiore fragilità che ha però registrato un salto in avanti su più fronti. La Conferenza è quindi anche un passaggio intermedio nel rapporto tra le sezioni provinciali, i coordinamenti, una presa di coscienza del nostro contributo affinché, soprattutto in questa fase così difficile per il nostro Paese, ci sia un’Anpi che sia rappresentativa e che possa dare una mano alla battaglia in difesa della Costituzione e contro vecchi e nuovi fascismi.
Negli ultimi anni vi è stata una grande presa di coscienza e di sostegno che ha condotto a nuove ricerche, tutt’ora in corso, su aspetti meno noti della lotta di Liberazione. Tra questi vi è la partecipazione del Sud.
Sono contento che il Sud possa contribuire agli studi, alle ricerche e alle pubblicazioni che affrontino le diverse sfaccettature della Resistenza italiana, soprattutto perché c’è tanto Mezzogiorno nella sua storia, così come una regione piccolissima come il Molise ha tanti dei suoi figli che hanno combattuto lontano, alcuni di questi sono morti in Piemonte per esempio. Molti dei partigiani del Sud hanno combattuto e sono caduti nel Centro-Nord, ma anche nei Balcani, nei campi di concentramento in Germania. Poi c’è la Resistenza dei 650mila soldati italiani che si opposero alla Repubblica di Salò collaborazionista dei nazisti il cui 40 per cento era meridionale, parliamo degli Imi, gli Internati Militari Italiani. E c’è di più.
A cosa si riferisce?
Ci sono i confinati politici che vennero mandati nel Mezzogiorno e che svolsero una funzione anche politica di educazione delle masse, come Camilla Ravera che prese il posto di Gramsci e di Togliatti. Fu la prima donna a guidare il Partito comunista e venne mandata al confino in Basilicata. Accanto e insieme a lei Eugenio Colorni, Cesare Pavese, Mario Rossi Doria. Sono stati tantissimi. E ancora, i campi di internamento presenti nel Mezzogiorno: in Molise avevano campi di internamento per i rom, per le donne, così come ve n’erano molti altri in Basilicata, in Calabria. Per non parlare della Resistenza popolare, fatta dai cittadini, dai contadini che accoglievano e ospitavano a proprio rischio e pericolo anche soldati alleati. Su questi pezzi di storia c’è ancora tantissimo da fare, sicuramente.
Su molti di questi aspetti l’Anpi ha però buona memoria.
Lo scorso anno con l’80° abbiamo avuto modo di ricordarne alcuni nelle manifestazioni che la Segreteria nazionale Anpi ha tenuto a carattere nazionale il 21 settembre a Matera, prima città di Italia ad essere insorta e liberata dai nazifascisti, Medaglia d’Oro al Valor Civile e Medaglia d’Argento al Valor Militare. Abbiamo ricordato le Quattro Giornate di Napoli il 28 settembre, poi il 5 e 6 ottobre l’insurrezione di Lanciano, in Abruzzo, il 5 dicembre la formazione della Brigata Majella a Casoli, sempre in Abruzzo. C’è tanto Sud nella storia della Resistenza italiana. È quindi giusto e utile che anche nel corso della Conferenza di Organizzazione ci possa essere la possibilità di continuare insieme alle università di scrivere pubblicazioni, libri, docufilm, di coinvolgere le scuole, di far sì che queste storie possano tornare a restituire un vissuto, una consapevolezza alle comunità locali partendo dalle giovani generazioni perché la prima missione dell’Anpi è trasmettere la cultura della Costituzione ai giovani.
Del Molise, pur trovandosi sulla Linea Gustav, se n’è sempre parlato poco. Una pagina ancora poco conosciuta riguarda la catena montuose delle Mainarde, al confine tra Lazio e Abruzzo, dove nacque il Corpo Italiano di Liberazione.
A segnarla fu la presa di monte Marrone il 31 marzo 1944 e il Cil, al comando del generale Umberto Utili, avendo avuto l’autorizzazione di poter combattere in prima linea, riuscì a sfondare la Linea Gustav. Lì c’è il monumento al Corpo Italiano di Liberazione che è un monumento nazionale che venne a inaugurare nel 1968 l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Aldo Moro. Un monumento molto bello che fa venire un po’ i brividi perché è composto da venti massi enormi, ciascuno con il nome di una regione italiana, come a dire che da queste montagne, con questo gesto si è cominciato a costruire la nuova Italia che poi ci sarà dopo il 1946 con la nascita della Repubblica e poi l’approvazione della Costituzione. Anche questa è una pagina di storia scritta nel Mezzogiorno.
Perché è importante il lavoro sulla memoria?
Il lavoro sulla memoria non solo è importante, ma è anche fondamentale per avere cognizione della propria storia, della storia di un Paese, di una comunità, dei sacrifici fatti, delle persone che a suo tempo si sono sacrificate e hanno dato la propria vita per conquistare quella democrazia che in realtà l’Italia non aveva mai conosciuto. Basti pensare al voto precluso alle donne fino al 1946, ossia alla metà della popolazione italiana. Sono diritti e libertà conquistate da un movimento che ha attraversato tutte le classi sociali e i diversi orientamenti politici. Anche su questo noi come Anpi dobbiamo continuare il lavoro prezioso che mira a restituire una conoscenza più ampia, quella memoria attiva che deve però saper guardare lontano e includere. Ad esempio, pochi sanno che l’Arma dei Carabinieri tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 ebbe 2.700 caduti e 6.500 feriti nella Resistenza italiana. Non solo, si pensa ai partigiani sulle montagne e ci si dimentica dei tanti sacerdoti fucilati, don Pietro Pappagallo, assassinato alle Fosse Ardeatine, era pugliese. Pagò con la vita come padre Placido Cortese, nato nell’isola di Cherso quando era compresa nell’impero austro-ungarico, cresciuto a Padova e morto nella Risiera di San Sabba per essersi prodigato nel salvare molti prigionieri slavi, soldati alleati ed ebrei. E ci sono personalità della Chiesa, inoltre, che contrastarono il fascismo fin dalla prima ora, mi riferisco a don Minzoni, assassinato nel 1923. Questo per dire che la visione antifascista va ampliata.
C’è già una strada per farlo?
Mi limito a indicare un nome che riguarda il Sud. La Resistenza e la memoria della Resistenza deve rimpossessarsi dell’appello e del monito del lucano Francesco Saverio Nitti, presidente del Consiglio del 1920-21 che, perseguitato dai fascisti e rifugiatosi a Parigi, accoglieva nella sua casa, finanziava e sosteneva tutti gli antifascisti al di là dell’orientamento che avevano perché diceva: “Prima di tutto ci dobbiamo liberare della dittatura, del fascismo, dare la democrazia e la libertà all’Italia affinché ciascuno possa portare avanti la propria idea per come meglio crede e saranno i cittadini a decidere chi dovrà amministrare”. Questi insegnamenti, questa memoria vanno trasferiti ai ragazzi e alle ragazze soprattutto con progetti didattici all’interno delle scuole e colgo questa circostanza per ringraziare lo straordinario patrimonio di docenti, preziosissimi per l’attività dell’Anpi, che svolgono un lavoro veramente importante per la conoscenza di questo spaccato di storia nazionale.
Che diventano ancora più preziosi di fronte alla rimessa in discussione del rinnovo del protocollo di intesa con il Ministero dell’Istruzione che permetteva all’Anpi di intervenire nelle scuole.
Per fortuna, in seguito al disappunto espresso pubblicamente dal presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, sui ritardi del rinnovo, e che è stato rilanciato dalla stampa, il ministro Valditara ha fissato un nuovo appuntamento per definire i dettagli di un nuovo protocollo tra associazioni partigiane e dicastero. Con tutti i governi che ci sono stati negli anni trascorsi abbiamo avuto sempre la possibilità di portare avanti progetti didattici che hanno coinvolto università, istituti di ricerca, fondazioni, docenti, organizzazioni sindacali anche di vario orientamento. Ci auguriamo quindi che questa vicenda possa essere superata al più presto e nei migliori dei modi, ma nel frattempo invitiamo le nostre sezioni, i presidenti provinciali e i coordinatori provinciali a lavorare scuola per scuola, per ogni ufficio scolastico provinciale e regionale perché c’è la possibilità di stipulare delle intese all’interno della singola scuola, del singolo provveditorato agli studi e della singola direzione regionale scolastica. Il rischio che intanto i progetti all’interno delle scuole possano fermarsi c’è e sarebbe un errore perché gran parte della nostra azione e della nostra missione è il rapporto con i giovani su base culturale e i progetti didattici all’interno delle scuole rappresentano una delle attività strategiche della nostra organizzazione.
Nuove generazioni e diritti sono, per la Casa di tutti gli Antifascisti, temi ad alta soglia di attenzione che al Sud diventano ancora più urgenti.
In queste realtà l’Anpi svolge una serie di attività con energie, culture, rappresentanze istituzionali anche giovani. Per esempio, in Basilicata abbiamo lavorato molto con i ragazzi di scuole secondarie di primo e secondo grado per aiutarli a capire come organizzarsi per essere eletti nei consigli di istituto, per fare in modo che la democrazia potesse esserci anche all’interno delle scuole con la rappresentanza degli studenti. Per i ragazzi e le ragazze del V anno della scuola secondaria abbiamo introdotto la Pergamena per i giovani antifascisti, una sorta di ringraziamento per l’impegno, ma ci sono state realtà in cui abbiamo cooperato con il mondo cattolico. Tutta la mobilitazione sulla pace che stiamo portando avanti, ad esempio, lo abbiamo fatto soprattutto grazie a questa rete solidale dell’Anpi che diventa capacità di saper realizzare coordinamenti e alleanze con un obiettivo comune.
Quali sono gli altri obiettivi per operate con altre realtà della società civile?
Le battaglie sui diritti umani, le questioni sui diritti dell’accoglienza dopo quello che è accaduto a Steccato di Cutro, in Calabria, tutta la vicenda della negazione dei diritti di cittadinanza agli immigrati che vengono costretti nelle condizioni di caporalato in Puglia e non solo, le battaglie sull’acqua pubblica, per difendere il diritto al lavoro nelle aree industriali più a rischio del Mezzogiorno, per affermare il diritto alla salute. Rimanendo sul suo terreno che è quello di una associazione culturale che assume i valori della Costituzione come valori fondativi, l’Anpi deve avere l’abilità di saper andare oltre un’attività di ricerca e memoria e deve dunque sapersi aprire alla società, stabilire raccordi e dare con correttezza il proprio contributo a questa visione della società. Questa cosa l’abbiamo fatta con i Campi per la Legalità con l’associazione Libera e con le scuole, per esempio. C’è un cliché secondo cui l’Anpi sia un convegno legato a persone chiuse in una discussione tutta giocata all’interno, ma io ho toccato con mano, incoraggiato e sostenuto un’Anpi che è capace di espandersi a rete e coinvolgere, dialogare, ascoltare, partecipare a un progetto generale di visione solidale da portare avanti su grandi questioni anche internazionali, come quella con Amnesty International per liberare Patrick Zaki e per avere giustizia e verità per Giulio Regeni.
In questi giorni si sta parlando di autonomia differenziata, concessa anche dall’articolo 116 della Costituzione e mai attuata a causa delle importanti differenze socio-economiche delle regioni. Cosa pensa del disegno di legge di Calderoli?
Penso che dobbiamo muoverci nel solco della Costituzione che disegna un’Italia unica, indivisibile e solidale, dove i diritti fondamentali di cittadinanza vengono garantiti in modo uniforme a tutti i cittadini della Repubblica da Lampedusa al Brennero, dalla Sardegna al Friuli Venezia Giulia. Sono principi costituzionali e la nostra associazione assume la Costituzione antifascista come stella polare da seguire. Per questa ragione riteniamo che quel disegno di legge sia un frutto avvelenato che va respinto. Nel Mezzogiorno il reddito medio pro capite arriva a essere il 40 per cento e, in qualche caso, anche la metà del reddito medio pro capite del Nord-Ovest. Questo significa che in Italia abbiamo cittadini di serie A che possono fruire di diritti fondamentali a partire dalla tutela della salute, del diritto al lavoro, di trasporti, assistenza socio-sanitaria, asili nido, ovvero gli elementi essenziali che trasformano e che connotano anche la qualità della vita delle persone, a partire per esempio dalle scuole. Nelle aree interne del Sud l’ultimo provvedimento del governo ha tagliato in maniera assurda anche diverse direzioni scolastiche e nei territori meno popolati si devono mettere insieme 10-15 Comuni che stanno anche lontani. Noi dobbiamo dunque fare l’operazione rovesciata: l’articolo 3 della Costituzione stabilisce che la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli per il pieno sviluppo della persona umana e dobbiamo fare in modo che lo Stato assuma l’obiettivo di uniformare e garantire a tutti i cittadini gli stessi diritti.
Quindi Costituzione, Costituzione, Costituzione?
Certamente, perché è vero che ognuno nella vita raggiunge dei risultati, ma se a una gara di 100 metri parto da meno 50 e un altro parte da più 50, per me che nasco nel Mezzogiorno è assolutamente improbabile che io possa arrivare primo in quella gara. Se assumiamo come centrale e strategica la visione della Carta costituzionale, ci accorgiamo che il disegno di legge Calderoli ripristina l’Homo homini lupus ovvero l’uomo più forte, la logica del lordo capitalismo, del lordo liberismo cioè chi è forte deve sopravvivere e godere di tutto. Si ha quindi al Nord l’autostrada a quattro corsie e ferrovie a due-tre binari, mentre nel Mezzogiorno la stragrande maggioranza delle tratte ferrate sono a binario unico oppure intere realtà che sono prive di servizi fondamentali o zone del Paese dove gli ospedali sono chiusi e dove il diritto alla tutela della salute non esiste più. E questo non è giusto. Noi dobbiamo lottare per fare attuare la Costituzione, non per farla stravolgere.
Mariangela Di Marco, giornalista
Pubblicato sabato 3 Febbraio 2024
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