Più di centomila, molto più di centomila a Milano. Un mare di gente ovunque, dalle grandi città, a cominciare da Roma, fino ai piccoli Comuni. Quanti in totale? Saperlo! Comunque cifre astronomiche, a conferma dell’orgoglio antifascista e della coscienza resistenziale di tanta parte del popolo italiano, ma anche della preoccupazione, se non del vero e proprio allarme, davanti al piano inclinato di una possibile deriva autoritaria e allo spettro incombente della guerra, quel sonno della ragione che da un secolo incombe e ricorre e che ha già portato alle due più grandi catastrofi nella storia dell’umanità.
Ovunque l’ANPI è stata protagonista e in tutta Italia si è diffusa la sua parola d’ordine, “Viva la Repubblica antifascista”, che ha raccolto lo spirito di questo straordinario e unitario 25 aprile. Unitario, perché nella stragrande maggioranza delle situazioni ha visto l’ANPI con le altre associazioni, con i rappresentanti delle istituzioni (compresi tanti sindaci di destra), delle forze armate e della società civile. Certo, con qualche eccezione per così dire fisiologica e senza particolari incidenti, se si considera che le tensioni di Milano sono state amplificate in modo incredibile e strumentale dai media e tutto sommato, pur gravi e deprecabili, non hanno in alcun modo inficiato la natura pacifica e unitaria del corteo e della manifestazione nella capitale meneghina.
Questo 25 aprile ha perciò dimostrato che, nonostante tutto, le radici della Repubblica continuano ad alimentare il giovane albero della democrazia italiana (poco meno di 80 anni circa non è tantissimo), nonostante la crisi, l’astensionismo, lo smarrimento di valori, la solitudine sociale, l’individualismo serpeggiante. E ha dimostrato anche che il fulcro dell’unità antifascista rimane la difesa e l’attuazione della Costituzione.
E guai a noi se non cogliessimo la pesantezza e la gravità dell’attacco alla democrazia italiana e alla sua Carta costituzionale. Basti pensare agli effetti dirompenti che l’autonomia differenziata delle Regioni e il premierato avranno non solo sulla struttura istituzionale del Paese, ma anche sulla società nel suo complesso, frantumando l’unità nazionale e spegnendo definitivamente la partecipazione alla vita politica generale del Paese, ove l’intera impalcatura democratica si ridurrebbe alla partecipazione al voto una volta ogni cinque anni e così si dissolverebbe, consegnando di fatto tutti i poteri ad una sola persona, costringendo la figura del Presidente della Repubblica a un ruolo esclusivamente notarile e riducendo il Parlamento a una sorta di cassa di risonanza delle decisioni della maggioranza, cioè del presidente del Consiglio “eletto dal popolo”. In una parola salterebbe il disegno di società e di Stato tracciato dalla Costituzione antifascista.
L’assalto è a tutto campo. È caldo il ricordo della censura dei dirigenti Rai al bellissimo monologo di Antonio Scurati, ed è grottesco il recente paragone fra l’uccisione di Giovanni Gentile, teorico del fascismo (e del manganello) e l’assassinio di Giacomo Matteotti (copyright: ministro Gennaro Sangiuliano, lo stesso che ha detto che in Italia nel recente passato c’è stata una dittatura comunista). Per non parlare della variopinta caterva di affermazioni – in particolare di Giorgia Meloni – tese a distinguere le responsabilità del nazismo (cattivo) rispetto a quelle del fascismo (ha fatto anche cose buone).
La risultante di un insieme di piccoli e grandi eventi di cui ho riportato la millesima parte è di fatto la cancellazione della Costituzione antifascista del 1948 e il varo di una nuova Costituzione afascista, e dunque di una nuova fase della storia repubblicana.
Diciamo la verità: la filiera del fascismo è sempre stata attiva dal secondo dopoguerra. Ed oggi ci troviamo con questo governo e con questa Presidente del Consiglio. Va detto, per la verità, che non è stata una sorpresa. Li abbiamo sentiti arrivare. Faremmo però un errore se generalizzassimo e vedessimo fascisti dappertutto. Forza Italia, per esempio, è un partito conservatore con tratti moderati frutto del fallimento dell’ipotesi di Berlusconi di dar vita ad un grande partito liberale di massa. Ma non c’è dubbio che in tanta parte di Fratelli d’Italia, dove pure non tutti la pensano come Lollobrigida, arde ancora la fiamma del Movimento Sociale Italiano che continua ad apparire nel simbolo del partito, che ha le sue radici, quanto meno culturali e sentimentali, nel ventennio fascista e nelle sue nostalgie, e nella Lega prevalgono – ad oggi – pulsioni autoritarie e un nazionalismo, spesso grossolano, che assieme si sposa ed è in concorrenza col culto/mito della Nazione che Giorgia Meloni ostenta in ogni suo discorso.
La manifestazione di Milano, come tutte le manifestazioni del 25 aprile, ha avuto al centro la memoria dei venti mesi di Resistenza e dello straordinario tributo di sangue e di dolore, che segnarono la fine dell’occupazione tedesca, del fascismo storico e del conflitto. Con la caduta dello Stato fascista, ma anche del vecchio Stato liberale, si ponevano le basi per la nascita dell’Italia democratica che si fonda sul lavoro e che ripudia la guerra. Ma proprio quella memoria ci scaraventa nel presente, quando è al governo questa estrema destra aggressiva e vendicativa, quando ci sono milioni di poveri, dilaga il lavoro precario, con un governo che taglia la sanità e la scuola pubblica, con lo spettro della recessione economica. In sostanza il futuro viene visto come una minaccia. Sta alle forze democratiche proporre una promessa di futuro, cioè un programma di trasformazione che abbia al centro il contrasto alle diseguaglianze nel più generale quadro di un progresso che consenta di affrontare la transizione digitale ed ecologica. Nonostante tutto. E la Costituzione ci fornisce i fondamentali di un programma.
A ciò si aggiunge il più grande dei problemi: la guerra. Se ne parla spesso in modo irresponsabile, come di una nuova e accettabile normalità. Il mondo intero si riarma come prima dei due conflitti mondiali, e nell’Unione Europea c’è chi dichiara possibile una guerra convenzionale ad alta intensità in Europa. Ma abbiamo uno scudo: “L’Italia ripudia la guerra”, un’altra ragione per applicare pienamente la Costituzione.
Perciò grazie. Grazie alle donne e agli uomini, ai ragazzi, agli anziani, alle famiglie che hanno dato vita a questo straordinario anniversario. Grazie alle compagne e ai compagni dell’ANPI che ovunque in modo saggio e intelligente sono stati gli artefici, i costruttori, i registi di questa giornata. L’ANPI sono loro, l’ANPI siete voi, carissime compagne e compagni. Grazie per donare il vostro tempo, la vera e insostituibile ricchezza di ciascuno. Grazie perché, attraverso il vostro lavoro volontario, spesso difficile, sempre faticosissimo, fate sì che la memoria non sia patrimonio di un pugno di iniziati, ma tenda a diventare coscienza popolare, senso comune costituzionale, ragione di impegno civile. Grazie per la vostra passione, perché, come ha scritto Cesare Pavese, “finché si avranno passioni non si cesserà di scoprire il mondo”. E andiamo avanti, alla scoperta del mondo, per cambiarlo, cancellandone l’ignominia, dal fascismo alle guerre, per cambiarci, migliorandoci quotidianamente, popoli con i popoli, persone con le persone. Davvero ci piacerebbe, un giorno libero e liberato, l’umanità al potere.
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale ANPI
Pubblicato martedì 30 Aprile 2024
Stampato il 21/11/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/anpi/25-aprile-antifascismo-e-potere-della-passione/