«Il camion della morte fece la prima tappa a Poltragno. Sei partigiani vennero fatti scendere, condotti sulla strada che porta a Sellere e fucilati alla presenza dei loro compagni. Gli esecutori, sghignazzando, scrissero sul muro macchiato di sangue “fuori legge”; e ripartirono per Lovere e compiere la seconda strage. Gli altri sette, dopo che la direzione dell’Ilva si era opposta al tentativo di procedere alla fucilazione lungo il muro di cinta della fabbrica, vennero condotti nei pressi della pesa pubblica di Lovere, sul lungolago, e lì fucilati di fronte ad alcuni cittadini inorriditi. Lovere, testimone del crimine, si trasformò in una cittadella partigiana. Tredici eroi erano caduti, ma altri avrebbero preso il loro posto di combattimento; la lotta partigiana sarebbe continuata a vivere, si sarebbe rafforzata, sarebbe andata avanti. Dopo l’inverno del 1943 altri giovani sarebbero accorsi nella formazione al fianco dei pochi partigiani superstiti. Nasceva così la 53ª Brigata Garibaldi, che avrebbe assunto il glorioso nome “Tredici Martiri di Lovere”».
Con queste parole il partigiano Giuseppe Brighenti “Brach” ricorda, nel suo racconto Il partigiano Bibi, l’uccisione dei Tredici Martiri di Lovere (Bergamo) avvenuta in 22 dicembre 1943 come rappresaglia per un’azione partigiana compiuta il 29 novembre 1943. In questa data 27 partigiani, divisi in 4 gruppi, scendono nel paese di Lovere e riescono, contemporaneamente, ad occupare e danneggiare la locale sede del fascio, catturare a Costa Volpino il locale segretario del fascio ed entrare nei locali dell’Ilva impossessandosi della cassa d’eccedenza, messa a disposizione per il sostentamento della formazione. Un’azione programmata, tra le prime avvenute in bergamasca, che porta alla morte di Rosa e Cortesi, due illustri capi ed esponenti del fascismo loverese. L’eco dell’azione risuona sulla stampa di tutto il nord Italia: Bergamo Repubblicana definisce “gangster” i partigiani coinvolti. La rappresaglia nazifascista che ne seguì fu determinata a stroncare sul nascere il movimento partigiano: il rastrellamento della Val Supine, condotto in grande stile grazie soprattutto alla presenza di una spia, porta alla cattura di sette dei Tredici Martiri. Gli altri sei vennero prelevati, direttamente nelle loro case, nei giorni successivi. Tutti e tredici vennero condotti nelle carceri dell’ex Collegio Baroni in via Pignolo a Bergamo. Il 22 dicembre, a Lovere, dopo ripetute violenze e sofferenze, vengono fucilati.
Il 16 dicembre 2018, in occasione del 75° anniversario della loro fucilazione, abbiamo ricordato i nomi e le storie di questi giovani partigiani morti per la libertà: Giulio Buffoli il più anziano, nato nel 1901, fonditore; Salvatore Conti del 1922, studente al primo anno di ingegneria; Andrea Guizzetti nato nel 1924, operaio; Guglielmo Macario del 1925, apprendista; Ivan Piana del 1924, ragioniere, studiava al primo anno di economia; Giovanni Vender del 1926; Luca Nitckisc slavo sfuggito dal campo di prigionia della Grumellina dopo l’8 settembre e legatosi al gruppo partigiano della Val Calepio guidato da Locardi; Francesco Bezzi classe 1925, operaio; Eraldo Locardi del 1920; Vittorio Lorenzini nato nel 1925, falegname; Giovanni Moioli classe 1926, operaio; Giuseppe Ravelli del 1923, manovale; Mario Tognetti nato nel 1922, commesso di negozio. Partigiani che hanno sacrificato la loro vita per dare a noi libertà, democrazia e pace. Più della metà di loro non aveva ancora compiuto vent’anni.
Ricordare la Resistenza e l’Antifascismo a Lovere, farlo nel 75°anniversario della fucilazione dei Tredici, vuol dire onorare questi nostri padri, riconoscersi nelle loro storie, rinnovare la memoria di chi seppe opporsi al fascismo senza restare indifferenti o passivi. I Tredici hanno saputo agire nel loro presente lottando per un futuro diverso. Dobbiamo rivolgerci loro con sentimenti di umana riconoscenza perché questi giovani sono morti a vent’anni nel tentativo di provare a ridare dignità ad una parola che la retorica fascista aveva svuotato di ogni significato: la parola Patria. Ricordare il loro sacrificio e le loro storie vuol dire ricordare i loro desideri, gli impulsi vitali che li spinsero a fare la scelta di combattere il fascismo.
Ricordare i Tredici Martiri di Lovere vuol dire rinnovare il nostro impegno: coltivare una memoria matura e consapevole, in grado di guardare a questa nostra storia sforzandoci di darne una declinazione nel tempo presente e quindi con la capacità di non restare indifferenti alle domande che agitano la nostra contemporaneità. Per troppo tempo abbiamo assistito, quasi distratti, ad un processo di demonizzazione della Resistenza e per troppo tempo, con il nostro silenzio, è come se avessimo contribuito a rafforzare quel processo parallelo di normalizzazione del fascismo che oggi non ci fa più indignare di fronte ai pestaggi di CasaPound, non ci fa più sussultare di fronte a chi si dichiara apertamente fascista, non ci fa più scendere in piazza contro un Governo che con l’abolizione della protezione umanitaria calpesta e viola la Costituzione Italiana nata dalla Resistenza minando la cultura dei diritti umani inviolabili sanciti nella Dichiarazione Universale che proprio lo scorso 10 dicembre ha compiuto 70 anni. Ancora oggi sembriamo assuefatti a false rivelazioni, mistificazioni e falsificazioni storiche che hanno finito per screditare la Resistenza con il rischio che ciò diventi senso comune tra la società. Tutto ciò però non intacca il valore etico della Resistenza: quella scelta che tanti riuscirono a compiere per riscattare l’Italia dalle barbarie della guerra e della dittatura fascista.
Oggi, in tempi così complicati e confusi in cui linguaggi, atteggiamenti, parole d’ordine, modalità, stilemi del fascismo sono pervasivi nel senso comune e arrivano fino a lambire il Governo del Paese dettandone l’agenda politica, dobbiamo rafforzarci nella convinzione che serva un antifascismo naturale, capace di nascere spontaneamente dai tanti silenziosi gesti di ribellione quotidiana in grado di generare e infondere fiducia e speranza verso il futuro.
Oggi, onorare i Tredici Martiri di Lovere, farlo nel modo più alto possibile, vuol dire costruire un vero e proprio “stato di agitazione permanente”: una Resistenza civile, culturale e politica. Ma vuol dire anche fare i conti con la propria storia, come ha fatto proprio la mattina del 16 dicembre scorso il Consiglio Comunale di Lovere approvando la mozione proposta dal sindaco Giovanni Guizzetti, con la quale si è avviato l’iter per la revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini: un fatto che non cancella i vent’anni di dittatura e neppure vi pone rimedio, ma che serve per ribadire che «la Comunità di Lovere non può dimenticare il tragico eccidio dei tredici partigiani qui fucilati il 22 dicembre 1943 in un’azione di rappresaglia nazifascista, sei in località Magazzini nei pressi della pesa pubblica, attuale caserma dei Carabinieri e sette in località Parte, sulla strada per Sellere ed i cui nomi sono tuttora impressi nella memoria collettiva; che Lovere, testimone di questo orribile crimine, divenne una cittadella partigiana: molti presero il posto di combattimento dei tredici eroi caduti e la lotta partigiana visse, si rafforzò, e proseguì dando vitta alla 53esima Brigata Garibaldi, che assunse il nome “Tredici Martiri di Lovere”». Un’azione politica importante, fortemente voluta dal Sindaco di Lovere «non con l’intento di cancellare un ventennio di storia italiana, bensì allo scopo di pretendere e riconsegnare il massimo rispetto e dignità all’onorificenza della cittadinanza onoraria del nostro Comune, risultando questa onorificenza totalmente opposta ed incompatibile con la figura di Benito Mussolini e non quale atto simbolico rivolto al passato, ma quale invito, soprattutto alle giovani generazioni, per ripudiare l’odio razziale e la guerra». Una scelta capace di futuro che il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, non è stato ancora in grado di compiere e che anzi, si è rifiutato di assumere a più riprese. Mi auguro che presto anche la Città di Bergamo possa, finalmente, iniziare a fare i conti con il suo passato.
Mauro Magistrati, presidente Anpi Bergamo
Pubblicato giovedì 24 Gennaio 2019
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