«Il nostro lavoro era divenuto bestiale, ma purtroppo non potevamo fare altro che constatare la nostra impotenza. Il cimitero di Gonars non poteva più contenere i morti che si contavano a varie decine ogni giorno e così fu in fretta costruito un nuovo cimitero».
Con queste parole l’ex ufficiale medico Mario Cordaro riferiva della situazione sanitaria del campo di concentramento di Gonars (Udine).
Questo non era l’unico campo in Friuli, già esistevano Cighino, Visco, Fossalon, Poggio Terzarmata (Zdravščine) e Piedimonte (Podgora); quello di Gonars era adibito a ricevere e ospitare i civili rastrellati dai territori jugoslavi annessi nel 1941 (provincia di Lubiana e di Dalmazia) e gli “allogeni” (sloveni e croati della Venezia Giulia, divenuti cittadini italiani dopo la Prima guerra mondiale).
Nell’autunno-inverno 1942-43 a Gonars sono state deportate migliaia di persone e molte di queste in pessimo stato di salute o in condizioni di debilitazione estrema. Una strategia di “contenimento” dei prigionieri; infatti, nel campo vigeva l’organizzazione del generale Gastone Gambara, il cui principio era: “Campo di concentramento non è campo di ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo”. I documenti ci dicono che più di 500 persone sono decedute per la fame e malattie. La morte non ha risparmiato neanche i bambini, almeno 70 non hanno raggiunto l’anno di vita altri sono nati morti a causa della malnutrizione della madre.
Dopo l’otto settembre del 1943 il campo è stato occupato dalle truppe tedesche che, per renderlo nuovamente operativo, hanno costruito in tempi brevissimi tre ponti provvisori sul fiume Cormor per collegare il lager al raccordo ferroviario Udine-Venezia. Alla fine della guerra il campo venne chiuso e demolito.
Lo stato di indigenza dei prigionieri stimolò la partecipazione attiva di alcuni degli ufficiali e soldati addetti alla conduzione del campo. Tra questi va ricordato il medico Mario Cordaro (1910–1994) originario di Giardini-Naxos. Operò come ufficiale medico, lenendo le sofferenze fisiche (spesso acquistando con proprie risorse i medicinali) e psicologiche degli internati. Per molti, come nel caso dello scultore Nikolaj Pirnat, si rivelò determinante poiché poté partecipare alla selezione dei prigionieri da dimettere.
A Udine, presso il Palazzo Morpurgo, è stata allestita una interessante esposizione che ricorda, anche attraverso la figura del medico Mario Cordero, quella terribile esperienza di vita.
“1942-43: la Storia che ci ri-guarda” è il titolo della mostra, curata nella parte storica dalla dottoressa Monica Emmanuelli, in quella artistica dalla professoressa Paola Bristot e con l’allestimento dell’architetto Marco Pasian, è stata realizzata dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione e dall’associazione VivaComix, in collaborazione con il Comune di Udine, Udine Musei, il Muzej Novejše Zgodovine Slovenije, il Centro medico Coram e grazie al contributo della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
La mostra ci appare come una viva e precisa documentazione di ciò che avvenne in quel campo e di come era la vita degli internati. La collezione di disegni è una viva dimostrazione della quotidianità vissuta dalle persone provenienti da vari ceti sociali; erano, infatti, intellettuali, insegnanti, studenti, operai e artigiani (non soldati operativi ma potenziali oppositori, futuri dirigenti della Resistenza jugoslava ed esponenti del Fronte di Liberazione sloveno lì sotto pseudonimo).
A testimonianza di quella terribile esperienza ci sono diversi documenti, dalle relazioni sanitarie del Dottor Cordaro ai molti disegni e dipinti che illustrano come il campo era organizzato. Dalle stesse opere l’architetto Alessandro De Ioannon, ha ricostruito un plastico in miniatura del campo. La mostra ci permette così di ri-guardare la storia attraverso le opere dell’importante collezione di disegni che il dottor Cordaro ha ricevuto in dono dagli internati del campo di concentramento di Gonars, compreso in busto in bronzo realizzato dallo scultore Nikolaj Pirnat. In mostra sono espone opere di Herman Vrečko, Milos Mehora, Mirko Lebez, A.D. Kurandić, Ivan Garbajs, B. Jeločnik, Otmar Drelse, J. Mezan, Leo Furlan.
Diego Collovini, docente di Storia dell’arte moderna, Accademia Belle Arti Tiepolo di Udine, già docente di Teoria e Storia del Restauro presso Accademia Belle Arti di Venezia, membro del Comitato nazionale Anpi
Pubblicato venerdì 26 Ottobre 2018
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