Spesso l’arte dei giorni nostri è ritenuta poco chiara, per niente comprensibile e, per alcuni, anche di dubbio gusto. Non sempre è così. Almeno non nel caso del cileno Alfredo Jaar, classe 1956, che con i suoi lavori realizza opere tanto significative e dirette da scuotere le coscienze di chiunque si trovi ad ammirarle. Del resto, con il suo approccio politico, arte e impegno, cultura e riscatto, rivoluzione e sentimento sono concetti che si muovono contemporaneamente, perché le idee partecipano ai cambiamenti della vita. Quella di Jaar è un’arte legata alla storia, alle persone e alla libertà. Consapevole della difficile situazione politica e delle tante ingiustizie che nel mondo esistono, l’artista non perde mai l’ottimismo, realizzando opere sociali che parlano al cuore della gente. Ci dice che dobbiamo «resistere, resistere, resistere. Si possono distruggere città e persone, ma non si possono uccidere le idee». «Sono nato – racconta l’artista – in Cile sessanta anni fa: ho visto la dittatura di Pinochet e il golpe contro Allende; per fare arte, ho imparato a parlare fra le righe. Era l’arte della Resistenza».
Fra le numerose opere create dal maestro, la Capitale ne conserva una particolarmente significativa. Nelle sale del museo MaXXI, progettato dall’architetto Zaha Hadid, trova posto Infinite Cell (2004): una grande istallazione dedicata ad uno dei pensatori più importanti del XX secolo, Antonio Gramsci (1891-1937), fondatore, nel 1921, del Partito Comunista d’Italia e incarcerato dal regime fascista di Benito Mussolini nel carcere di Turi, in Puglia. L’opera fa parte del più ampio progetto The Gramsci Trilogy, composta anche da Le ceneri di Gramsci e Che cento fiori sboccino (2005), ed è arricchita dalla scritta «20 anni/4 mesi/5 giorni», l’entità della pena a cui il Tribunale fascista condannò l’intellettuale comunista. «Gramsci – sostiene Jaar – è uno dei più acuti e illuminanti intellettuali dei nostri tempi bui. Il suo pensiero politico radicale e la sua formidabile analisi culturale sono oggi a mio parere più necessari che mai per affrontare il nuovo fascismo che incombe sul nostro XXI secolo».
Dicevamo di Infinite Cell. Come suggerisce il titolo, si tratta della riproduzione della cella di reclusione di Gramsci, nella quale ogni persona può entrare e sperimentare per qualche istante la clausura. Tuttavia, lo spettatore, grazie ad un gioco di specchi, vede se stesso in una proiezione infinita e riesce a osservare la propria immagine in una dimensione progressiva, metafora della forza delle idee che, seppur rinchiuse, riusciranno sempre a liberarsi da ogni barriera. L’obiettivo è chiaro: far sentire il pubblico fisicamente compromesso in un piccolo spazio e, allo stesso tempo, mostrare la possibilità di un cambiamento mentale e intellettuale.
Infinite Cell è una delle opere più emotivamente coinvolgenti di Jaar, offre la possibilità di scoprire la potenza dell’infinito stando fermi in una piccola e buia architettura. E inoltre, racconta una storia universale, fatta di donne e uomini in continua lotta per conquistare e affermare i proprio diritti. Riprendendo Gramsci, Jaar ci dice che quando la libertà di pensiero viene minacciata da politiche repressive, occorre reagire. Sempre. Ognuno di noi può far parte del movimento di riscatto dell’umanità, perché la propria eco potrebbe ottenere risultati inizialmente insperati.
Lo stesso Gramsci vedrà affermare il proprio ruolo nella storia grazie alla forza delle sue idee, suscitando perfino stupore in chi, conoscendone solamente la fama, lo incontra per la prima volta. Come nel carcere di Palermo, quando l’intellettuale sardo dopo essersi presentato ad un detenuto anarchico si sente rispondere: «Non può essere. Perché Antonio Gramsci deve essere un gigante e non un uomo così piccolo». Nella stessa occasione, anche il brigadiere della scorta gli chiede se è parente del «famoso deputato». «Mi disse – ricorda Gramsci – che si era immaginato sempre la mia persona come “ciclopica” e che era molto disilluso da questo punto di vista. Constatata però la mia cultura da autodidatta, ha cominciato a chiamarmi maestro». Aneddoti che fanno sorridere, ma che dimostrano come il pensiero possa essere tanto efficace da modificare la percezione delle cose, arrivando a trasformare l’idea in azione e l’azione in cambiamento.
Nella vita di ogni persona c’è un momento speciale in cui un libro, una canzone o un’opera d’arte riesce ad innescare il processo dell’impegno etico e politico. Un momento fondamentale in cui la voglia di parteggiare per la causa che si ritiene più giusta è irrefrenabile. In quel momento nel cuore di ognuno risuonano le ormai famose parole di Gramsci: «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti». E forse, proprio l’arte di Alfredo Jaar potrebbe spingere qualcuno a partecipare attivamente alla vita nella società.
Francesca Gentili, critica d’arte
Pubblicato martedì 2 Febbraio 2016
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