Un aspetto interessante della recente pubblicazione sul web dell’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia è dato dal carattere interlocutorio, volto a stimolare nuove testimonianze su episodi stragisti perpetrati in Italia durante l’occupazione tedesca. Ed è una caratteristica che si apprezza maggiornente se si guarda da una prospettiva meridionale e, per quanto riguarda la nota che segue, siciliana. È questa la parte del Paese in cui la memoria delle stragi stenta di più a travalicare l’ambito di memoria famigliare o tutt’al più locale per emergere nel discorso pubblico. Diversamente che al centro-nord dove, pur con le note difficoltà, la memoria delle stragi si sovrappone alla memoria della Resistenza, qui manca questo elemento diciamo facilitatore della contestualizzazzione. È quindi merito non trascurabile l’aver esteso così l’indagine, da ascrivere alla sensibilità del curatore Paolo Pezzino, studioso fra l’altro di storia del Mezzogiorno, oltre che alla disponibilità di un più ricco panorama di studi sulla società meridionale e la guerra.
Le schede sulle 18 stragi e 64 vittime siciliane riportate dall’Atlante (il bilancio è comunque provvisorio) non rappresentano solo un doveroso completamento della dimensione nazionale dell’indagine, ma consentono di mettere in evidenza una prospettiva un po’ diversa da quella che si ottiene analizzando le altre stragi. Gli episodi siciliani vengono percepiti e ricordati con difficoltà dalla popolazione, anche quelli in cui la brutalità si manifesta in modo più evidente, come a Castiglione, in provincia di Messina, per via della difficile percezione del ruolo del nemico e dell’amico.
Siamo nei giorni dello sbarco in Sicilia, gli Alleati ancora nemici stanno bombardando ogni angolo dell’isola, il loro arrivo è anche contrassegnato da episodi stragisti nei confronti della popolazione civile e dei prigionieri, tuttavia ben presto la popolazione li percepisce come coloro i quali porranno fine alla guerra e alla fame (questa seconda speranza in gran parte frustrata). I tedeschi sono ancora alleati, la convivenza con loro nei mesi precedenti è stata talvolta difficile fino a registrare alcuni episodi di brutalità con uccisioni, e tuttavia è nel corso dei 38 giorni successivi allo sbarco e fino alla completa occupazione alleata dell’isola che si manifesta una inattesa ferocia. Qui la dissociazione tra i reali comportamenti e gli aspetti isituzionali è notevole, dato che le autorità politiche (governo, monarchia) avrebbero denunciato l’alleanza e proclamato l’armistizio solo dopo l’avvenuta occupazione della Sicilia.
Gli episodi stragisti veri e propri si concentrarono nel tempo dell’occupazione e nello spazio della Sicilia orientale, con l’eccezione di Canicattì (Ag), che si trova nella Sicilia occidentale. La zona etnea fu quella con maggior numero di episodi e di vittime. Le stragi appaiono subito legate alla direttrice principale della Resistenza e della ritirata tedesca; nella maggior parte dei casi furono legate a saccheggi, furti e tentativi di violenza sulle donne, ma in altri appare chiara la reazione rabbiosa nei confronti della popolazione che accoglieva favorevolmente gli anglo-americani. Così avvenne a Canicattì, dove il 12 luglio cinque malcapitati scambiarono una retroguardia tedesca per un plotone americano; le loro manifestazioni di gioia provocarono l’immediata fucilazione. Il paese nel frattempo era sottoposto a un cannoneggiamento alleato e solo due giorni dopo, quando gli americani lo occuparono si resero responsabili della strage di sedici o diciotto civili, rei del saccheggio di un saponificio. Su tutto si stese una coltre di silenzio fino a tempi recenti, sicuramente conseguenza dello smarrimento provocato da questo susseguirsi di avvenimenti.
Un altro caso riemerso di recente è quello della uccisione di due coniugi, Carmelo Lombardo e Carmela Sapuppo, e del ferimento di due loro figli nascosti in una grotta nei pressi di Lentini, mentre (era oltre la metà luglio) infuriava la battaglia sulla vicina Piana di Catania. Secondo le testimonianze raccolte da una pronipote, Letizia Ravidà, «quando sembrò che il frastuono delle bombe e dei cannoni fosse cessato il nonno Carmelo uscì a guardare. Da dentro si sentì uno sparo. Alcuni soldati tedeschi appostati davanti alla grotta avevano fatto fuoco colpendo l’uomo alla gola. In rapida sequenza la tragedia si allargò: Carmela Sapuppo, accorsa sul corpo sanguinante del marito, fu crivellata di colpi al torace e così i figli Teresa a Sebastiano, che però sopravvissero. Sul corpo esamine della bisnonna Carmela fu trovata la foto dell’altro figlio Giuseppe, militare e al fronte: la teneva stretta durante i bombardamenti, forse pensando a quali più grandi pericoli era esposto il figlio. Una piccola macchia di sangue si era depositata in corrispondenza della mano del soldato, quella che poi fu lavata e lasciò un segno sbiadito».
Quella macchia sulla foto sarebbe rimasta a futura memoria: le foto delle due vittime e del loro figlio militare incorniciate ed esposte in casa, avrebbero rivelato a Letizia il tragico episodio proprio mentre lei preparava la tesi di laurea sulla più nota rivolta antitedesca di Mascalucia del 3 agosto. Una più adeguata capacità di lettura del contesto generale consente dunque di leggere i segni di un passato sepolto che pure è paradossalmente così prossimo. D’altronde anche i fatti noti hanno sofferto di una difficoltà di lettura, come appunto Mascalucia e Castiglione (12 agosto), e molte altre uccisioni di civili nell’area etnea. Si è insistito talvolta nel voler interpretare la reazione di alcuni civili e militari alle violenze e ruberie tedesche come un inizio della Resistenza. Una conclusione affrettata che ha fatto perdere la possibilità di cogliere gli aspetti più complessi del difficile momento di crisi avviatosi in Sicilia con l’occupazione alleata. Ma soprattutto ha sortito l’effetto di non agevolare il recupero di memoria rendendo irriconoscibili agli occhi degli stessi protagonisti le violenze di cui erano stati vittime. Mentre l’avvio della Resistenza comportò delle scelte e la progressiva acquisizione di consapevolezza politica, qui rimase un senso di smarrimento e di vuoto, difficile da colmare anche negli anni successivi. Si racconta il caso del contadino che uccise un soldato tedesco che gli stava rubando il mulo. La notizia si sparse e arrivò al comandante delle truppe britanniche sopraggiunte pochi giorni dopo, che volle incontrare l’intrepido siciliano. Il contadino si presentò preoccupato di ricevere un castigo per l’uccisione; ancora incredulo raccontò di avere ricevuto le congratulazioni per il danno arrecato al nemico.
Furti e saccheggi furono la norma in quei giorni, suscitando talvolta la reazione degli interessati, e quella di Mascalucia fu la più consistente.
Le cause della strage di Castiglione, con 16 vittime, restano invece meno chiare, forse una rappresaglia tedesca a furti subiti dalle truppe in transito. In ogni caso si trattò di un attacco organizzato e non di un episodio casuale, con ufficiali al comando della colonna che il 12 agosto irruppe nell’abitato seminando morte e promettendo altrettanto ai circa 300 ostaggi. Si risolse con la trattativa grazie all’intervento di alcuni maggiorenti del paese e di una suora. Pochi giorni dopo, tra settembre e ottobre, finita la battaglia e riavviate le pubblicazioni dei giornali, i commenti che si susseguirono sui più noti di questi avvenimenti stigmatizzavano la barbarie teutonica, con accenti risorgimentali. Nessun articolo faceva riferimento al fascismo e al nazismo.
La strada per la Liberazione era ancora lunga da percorrere e difficile. La pubblicazione dell’Atlante ha ora il merito di fornire dati, che possono ridare dignità alle vittime e ai loro parenti, riconoscendo la specificità della loro condizione; ha anche il merito di consentire ipotesi interpretative e prospettive di ricerca nuove che ci aiutino a mettere in luce la profondità del coinvolgimento dei civili nella guerra.
Rosario Mangiameli, docente di Storia Contemporanea all’Università di Catania
Pubblicato mercoledì 11 Maggio 2016
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