Il 10 luglio si è svolta alla Camera dei deputati la discussione sulle linee generali della proposta di legge n. 3343, “Introduzione dell’articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista” d’iniziativa del deputato Emanuele Fiano (Pd) e di altri deputati: il testo, presentato il 2 ottobre 2015, è approdato all’Assemblea di Montecitorio dopo una prolungata istruttoria in Commissione, ed è prevedibile che la strada per l’approvazione definitiva sia ancora lunga e non priva di ostacoli.
La proposta introduce un nuovo articolo nel Codice penale, in base al quale si stabilisce che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque propagandi le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiami pubblicamente la simbologia o la gestualità. La pena è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici.
I non pochi rilievi avanzati in Commissione e in Aula sulla proposta di legge sono, fondamentalmente, di due tipi: il primo ha per oggetto non tanto il merito, ma la tecnica legislativa, ed eccepisce il rischio che l’introduzione di una novella al codice penale possa sovrapporsi alle disposizioni vigenti, considerato che già la legge Scelba (legge n. 645 del 1952) sanziona l’apologia (art. 4) e le manifestazioni fasciste (art.5) e la legge Mancino (legge n. 205 del 1993, di conversione del decreto legge n. 122 del 1993) punisce chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale ed etnico ovvero organizza movimenti che hanno tra i loro scopi quelli indicati o partecipa a essi. In base a tali considerazioni, pertanto, il parere espresso dalla prima Commissione permanente affari costituzionali, pur cogliendo l’intento del proponente di sanzionare condotte penalmente rilevanti che ad oggi sfuggono a una precisa definizione normativa, segnala l’esigenza di pervenire a un coordinamento tra le diverse discipline.
Altri rilievi hanno un carattere più sostanziale, e sono riconducibili all’impostazione della relazione di minoranza presentata dal deputato Vittorio Ferraresi del Movimento Cinque stelle: quest’ultima si pronuncia esplicitamente in senso contrario all’integrazione del Codice penale, propendendo per un eventuale aggiornamento delle citate leggi Scelba e Mancino, con argomentazioni che, però, come detto, vanno oltre l’ambito della tecnica legislativa, e criticano il progetto di legge in quanto suscettibile di dare “luogo a misure potenzialmente e sostanzialmente arbitrarie o liberticide, che mal si coordinano con la vigente normativa «anti-fascista»”, e tali da determinare un ampliamento dell’area di punibilità che, oltre ad essere eccessivamente generico, lambirebbe la sfera della libertà di manifestazione del pensiero, in contrasto con l’orientamento prevalente nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità, mirato, secondo la relazione, a circoscrivere la rilevanza penale delle condotte considerate, con l’esclusione della punibilità per gli atteggiamenti definiti meramente “elogiativi” anche nella forma della gestualità (il saluto romano).
Ora, una cosa è discutere se i reati riconducibili all’apologia del fascismo possano essere perseguiti più efficacemente mediante la “manutenzione” della legge Mancino e della legge Scelba, ovvero se sia preferibile introdurre una nuova fattispecie nel codice penale, ma tutt’altra cosa è liquidare la proposta come potenzialmente liberticida, come sostiene l’esponente del Movimento cinque stelle, il quale ripropone per l’ennesima volta la tesi dell’inopportunità di elevare a fatti penalmente rilevanti comportamenti giudicati di mera manifestazione di idee, pur censurabili, adducendo la priorità (che nessuno si sogna minimamente di mettere in discussione) da assegnare al principio della libertà di manifestazione del pensiero.
Questo approccio tende però a prescindere da alcune questioni, di principio e di fatto, che non possono essere tralasciate. In primo luogo, si dimentica che la radice antifascista del patto democratico sancito dalla Costituzione repubblicana non è un elemento contingente dell’ordinamento, destinato ad esaurire i propri effetti una volta che si sia estinto il dato fattuale al quale esso si contrappone (la dittatura fascista come forma di ordinamento dello Stato e della società); questo è quanto ha sostenuto una vulgata revisionista in voga all’inizio del secolo, ignorando che la XII delle Disposizioni transitorie e finali, recante il divieto di ricostituzione del partito fascista, costituisce un elemento indefettibile del diritto costituzionale positivo (è, per meglio dire, disposizione finale, ma non transitoria) e come tale richiede di essere attuata in modo chiaro e inequivoco, indipendentemente dalla dimensione e dalla rilevanza politica che un tentativo di riorganizzazione di un partito fascista può assumere in un determinato momento storico. A parte le trite e incongruenti argomentazioni sulla specularità dei totalitarismi di destra e di sinistra, che pure si sono riaffacciate negli interventi di deputati del centro destra durante la discussione alla Camera, gran parte delle critiche rivolte ad iniziative come quella di cui si sta parlando muovono infatti dall’idea che i comportamenti sanzionati siano per lo più espressione di un folclore politico promosso da pochi nostalgici, certamente deteriore, ma sostanzialmente ininfluente, e al quale invece una nuova legge rischierebbe di dare visibilità, sortendo un effetto opposto a quello ricercato.
Le cose, però, stanno e soprattutto evolvono in modo diverso: le manifestazioni di intolleranza politica, razziale, religiosa e sessuale di matrice neofascista si sono moltiplicate negli ultimi anni, non solo in Italia, e non possono più essere derubricate a fatti marginali e tanto meno a episodi di folclore politico. Al contrario, esse tendono a diffondersi proprio perché una realtà di disagio materiale e morale sempre più diffusa, associata alle paure e alle fobie alimentate dal perdurare della crisi e dall’aggravarsi dalle emergenze globali, costituisce il terreno di coltura ideale per subculture dell’odio e dell’intolleranza; in altri termini, sussistono le condizioni oggettive perché un’accorta regia della paura e del malessere ponga gruppi dichiaratamente neofascisti e neonazisti nelle condizioni di premere per uscire dai ghetti politici in cui sono stati confinati in passato, con modalità inevitabilmente eversive della convivenza civile, e per rivendicare già oggi un ruolo di suggeritori politici di una destra conservatrice sempre più tentata dalle sirene dell’estremismo, come dimostra la tollerante disponibilità dimostrata da Donald Trump verso i criminali che si denominano suprematisti bianchi.
È in questo contesto che si pone la questione dell’attuazione della XII disposizione: essa fu dettata a suo tempo da chi sapeva per esperienza diretta che nella realtà storica del fascismo la commistione tra politica e condotta criminale è una costante tale da costituire due facce della stessa medaglia, e da questo punto di vista, si può affermare che si tratta di un‘articolazione del principio generale dettato dall’articolo 18 della Costituzione, che, oltre a vietare le organizzazioni paramilitari, pone come limite alla libertà d’associazione il perseguimento di fini che siano vietati ai singoli dalla legge penale. Intervenendo alla Camera, il relatore Walter Verini ha precisato, a questo proposito, che con la proposta di legge n. 3343 “non si intende colpire le opinioni, le idee, la ricerca storica e neppure quel folklore di cattivo gusto che spesso, intorno ai cascami del regime fascista, prospera. Non è così […]: quelle del fascismo non sono idee, sono crimini e questi crimini non sono solo quelli di ottanta e più anni fa, ma quelli che accadono oggi, che sono accaduti in giro per l’Europa, come a Utoya [l’attentato neonazista del 22 luglio 2011 contro una sezione giovanile del Partito laburista norvegese, che fece settantasette vittime] che parlano di incendi alle sinagoghe, di antisemitismo dilagante, in rete e fuori della rete, di tanti episodi di intolleranza razzista nei confronti dei diversi, che magari accadono anche cavalcando malcontento sociale, rabbie, paure e insicurezze del tempo che stiamo vivendo”.
Certamente, la propaganda e l’apologia attraverso la vendita di gadget fascisti o la diffusione on line di messaggi razzisti, xenofobi, di istigazione all’odio religioso o razziale sono anche manifestazioni di un grave e diffuso degrado culturale, non infrequente, purtroppo, perfino in società che peraltro vantano solide tradizioni democratiche. Come ha ricordato su queste pagine il Presidente nazionale dell’ANPI, sarebbe illusorio pensare che il contrasto a un tale fenomeno possa essere affidato solo alla legge penale: anche la norma più equilibrata e più idonea a contemperare esigenze di varia natura rischia di ridursi a un enunciato astrattamente prescrittivo, se non poggia su un solido retroterra valoriale e culturale, se non trae la sua forza di persuasione, nel caso di specie, dal radicamento dei valori dell’antifascismo e della Costituzione nel tessuto sociale e istituzionale, e dalla consapevolezza che le conquiste democratiche trovano la loro prima ed essenziale salvaguardia nella realtà di una cittadinanza attiva, fondata sui principi di partecipazione, uguaglianza e solidarietà, nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze, principi la cui centralità va tanto più ribadita in quanto essi sono rimessi oggi in discussione da una destra aggressiva, intollerante e alla ricerca di antistoriche rivincite.
Porre la questione in termini di limiti eventuali posti alla libertà di manifestazione del pensiero, risulta quanto meno fuorviante, quando si tratta invece di adottare misure adeguate a fronteggiare l’azione di chi quella e altre libertà intende conculcare: ne sa qualcosa, per citare un esempio tra i tanti, il sacerdote di Pistoia oggetto di intimidazioni e minacce dai neo fascisti di Forza Nuova per il solo fatto di avere ricompensato il lavoro volontario di alcuni giovani rifugiati offrendo loro un pomeriggio in piscina.
Anche in passato vi fu chi liquidò le prime imprese squadristiche come espressione di un primitivismo politico destinato a essere riassorbito entro un breve termine nella “normalità” della vita pubblica. Si sa come è andata a finire, e tra le lezioni impartite dalla storia c’è anche quella che spiega come nessuna conquista democratica possa essere considerata definitiva e irreversibile, soprattutto laddove venga resa vulnerabile dalla passività dei cittadini e dall’inerzia delle istituzioni. Su questo tema, la storia si coniuga con l’attualità: la sfiducia verso i principi e i metodi della democrazia, alimentata, non solo in Italia, dalle paure e dal disorientamento di una società provata da una prolungata crisi economica ed etica, torna ad affacciarsi minacciosamente sullo scenario della vita pubblica. L’avvio della discussione in Aula sulla proposta di legge Fiano può costituire un segnale, per quanto ancora timido, parziale e comunque fortemente contrastato, di un’autonoma iniziativa parlamentare che costituisce di per sé una novità positiva, sia perché per una volta le Camere non si limitano a ratificare l’operato dell’esecutivo con la reiterazione dei voti di fiducia su provvedimenti d’urgenza, sia perché la discussione ha ad oggetto l’intento di definire un quadro normativo più coerente con il dettato costituzionale, attraverso l’aggiornamento della legislazione di contrasto del neo fascismo. Sarebbe auspicabile, a tale proposito, rendere più coerente questo tipo di impegno e dare segnali più certi e definiti, affrontando quanto prima, ad esempio, la questione delle modifiche normative idonee a impedire la presentazione di liste di chiara ispirazione fascista in occasione delle varie tornate elettorali, come è avvenuto con frequenza non certo rassicurante anche nell’ultima consultazione amministrativa.
Pubblicato venerdì 8 Settembre 2017
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