Ricorre quest’anno il 70° anniversario della fondazione dei Convitti-scuola della Rinascita. La Convenzione che li istituiva venne stipulata il 31 luglio 1946, con decorrenza dal 15 gennaio, fra l’ANPI nazionale e il Ministero per l’assistenza postbellica, a firma di Arrigo Boldrini, presidente nazionale dell’ANPI e del ministro Emilio Sereni. Il primo Convitto, peraltro, aperto a Milano già nel luglio 1945, aveva origini più lontane.
Nell’ottobre del 1944, alla caduta della repubblica dell’Ossola, un gruppo di partigiani, comandati dal commissario politico della X Brigata Garibaldi “Rocco”, Luciano Raimondi (“Nicola”), si trova in alta montagna: di fronte all’attacco nemico sono costretti a trasferirsi in Svizzera. I partigiani comunisti vengono concentrati in una specie di lager, presso lo Schwarz See, dove sono trattati con estrema durezza. È inverno, il freddo e la fame attanagliano i giovani partigiani nell’ozio forzato della prigionia; ma “Nicola” è un appassionato insegnante di liceo; con l’aiuto dei partigiani più interessati, comincia a organizzare alcuni gruppi di studio: letteratura italiana, lingue straniere e storia.
L’esperienza, per fortuna, dura poche settimane, e ai primi di gennaio del 1945 il gruppo di partigiani garibaldini è di nuovo in Ossola con le armi in pugno. A primavera con la Liberazione, a Milano l’unità partigiana viene provvisoriamente acquartierata in una caserma. Nel tempo di guerra molti giovani hanno dovuto interrompere la scuola, molti – di famiglie povere – non l’avevano mai neppure frequentata oltre le elementari, ma nella lotta partigiana avevano dimostrato doti notevoli di intelligenza e di capacità. Perché accettare questa ingiustizia sociale e sprecare doti preziose per l’opera di ricostruzione del Paese? Ci sono poi ragazzi mutilati, orfani dei caduti, famiglie senza tetto. “L’urgenza del problema – scrive Raimondi sulla rivista Rinascita nel 1955 – agisce come una molla sulla vecchia idea nata a Schwarz-See: gli ideali della Resistenza offrono tutto un patrimonio morale e culturale che può e deve servire di base alla nascita di una scuola nuova, popolare”.
La decisione prende corpo rapidamente: i partigiani hanno ancora zaini e coperte, in caserma sono disponibili letti a castello e scatolette, una sede viene trovata ad Affori, nei locali di un antico collegio. Il comitato promotore è formato da tre professori, Luciano Raimondi, Claudia Maffioli e il filosofo Antonio Banfi, con tre studenti, Angelo Peroni, Ludovico Tulli e Guido Petter. Vi si uniscono subito altri insegnanti antifascisti, fra cui Luigi Pellegatta, Alba Dell’Acqua, Pasqualina Callegari, con l’aiuto entusiasta dei migliori partigiani della brigata e con il patrocinio immediato dell’ANPI, che presto istituisce nella sede centrale di Roma un Ufficio Convitti Scuole.
Racconta Guido Petter, poi docente all’Università di Padova e noto scrittore: “Cominciò così una splendida anche se durissima avventura: l’organizzazione di una comunità scolastica di giovani adulti, dove si studiava ma anche si lavorava, organizzati in varie commissioni per risolvere i problemi elementari del vitto, della pulizia, dei sovvenzionamenti, dei rapporti con l’esterno; e dove periodicamente si discuteva in un’assemblea che portava dibattiti molto seri e appassionati sui vari aspetti della nostra vita”.
La comunità, fondata su “spirito di libertà e lotta per la democrazia”, è regolata da uno Statuto e un Codice, dapprima elaborati nell’ambito del Convitto di Milano, poi discussi e implementati nelle Assemblee dei vari Convitti che via via si aprono. Come da art. 2 dello Statuto, il Convitto Scuola ha lo scopo di “porre tutti i lavoratori e i figli dei lavoratori su un piano di effettiva libertà nel campo dello sviluppo morale e culturale”, anticipando quello che sarà uno dei princìpi cardine della nostra Costituzione, che all’art. 3 sancisce la necessità di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale… che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. In base all’art. 6 dello Statuto “la direzione e l’organizzazione del Convitto sono affidate agli allievi stessi. In quest’opera di collaborazione attiva e di corresponsabilità per mezzo della quale essi educano le loro coscienze all’autogoverno ed alla democrazia, gli allievi si avvalgono del consiglio dei docenti, e si impegnano così alla consultazione di coloro che hanno una maggiore esperienza umana e culturale”. La democrazia diretta, pur non esente da problemi, non degenera in demagogia assembleare, ma si dimostra mezzo efficace per risolvere i complicati problemi della vita quotidiana nel difficile periodo postbellico. E viene introdotto anche un principio rivoluzionario: lo studio è considerato lavoro e pertanto, in base all’art. 4, “il Convitto scuola libera lo studente da ogni preoccupazione di carattere economico per sé e per le eventuali persone a carico”.
Frattanto, con l’aiuto dell’ANPI, l’esempio viene seguito in varie altre città del nord: sorgono così altri nove Convitti a Cremona, Torino, Novara, Venezia, Genova, Sanremo, Bologna, Reggio Emilia, Roma, oltre all’esperienza particolare del Villaggio della Rasa a Varese. Ogni Convitto organizza corsi professionali diversi, in base alle diverse caratteristiche dell’economia locale. A Milano, per esempio, vengono organizzati corsi di chimica e di meccanica fine; Cremona si specializza nel campo dell’industria lattiero-casearia e nella liuteria; a Reggio Emilia la meccanica agraria e l’edilizia; a Genova si studia all’istituto nautico e a Sanremo si preparano i tecnici del turismo e delle attività alberghiere. Corsi speciali, come quello per odontotecnici e orologiai, vengono creati per la prima volta in Italia, destinati in particolare ai giovani mutilati e invalidi. Ogni Convitto si impegna poi nella produzione di beni o servizi (formaggi a Cremona; mobili a Varese; grafica a Milano e Roma) da vendere all’esterno, con l’istituzione di piccole aziende cooperative i cui introiti contribuiscono all’autofinanziamento del Convitto stesso.
I giovani che li frequentano ottengono risultati brillanti negli studi e anche il loro inserimento nel mondo del lavoro e nel campo dell’amministrazione pubblica li porterà a notevoli successi. I buoni risultati degli allievi erano anche favoriti dal fatto che presso il Convitto di Milano era stato aperto un Centro d’orientamento agli studi e alle professioni, diretto dal professor Cesare Musatti – il grande psicoanalista italiano – con l’ausilio del professor Gaetano Kanizsa. Fra i circa 5.000 giovani che si avvicendarono nei Convitti, vanno ricordati i nomi, noti a livello nazionale, dell’attore Gianrico Tedeschi, del fotografo Uliano Lucas, del cantautore Ivan Della Mea, del docente universitario Guido Petter; o altri noti a livello locale, come Pasquale Maullini, che fu sindaco di Omegna per cinque mandati consecutivi, o l’avvocato Rolando Menotti di Milano.
La democrazia di un singolo Convitto si estendeva anche a un campo democratico più grande: quello che univa tutti i Convitti in un solo movimento, con problemi analoghi da risolvere, e che dava origine a congressi di tutti i Convitti, convocati periodicamente. Lucio Lombardo Radice, a proposito di tali assemblee interconvittuali, le definiva in un suo articolo “Italia in piccolo”. I dieci Convitti-Scuola rappresentavano “l’abbozzo di un ‘piano nazionale’ di scuola nuova e di preparazione al lavoro che nei Convitti-Scuola cominciava a realizzarsi” e che avrebbe dovuto portare all’apertura di 90 Convitti, uno in ogni provincia italiana.
Le cose vanno diversamente: dopo il 18 aprile 1948 le scuole partigiane soffrono il continuo sabotaggio da parte dei governi democristiani, che le considerano “covi dei rossi”. Vengono revocate le Convenzioni per il loro finanziamento, vengono richiamati nelle scuole pubbliche gli insegnanti distaccati presso questi istituti. Le ispezioni governative inviate dai Ministeri dell’interno, della pubblica istruzione e del lavoro – ansiose di scoprire rivoltelle e mitra – sono pur costrette a “constatare la positività, il lavoro altamente qualificato e l’impegno straordinario nell’ideale della dignità del lavoro e della prassi di libertà” – come scrive Raimondi. Ma inizia un lungo e difficile periodo per i Convitti, che uno dopo l’altro sono costretti a chiudere.
Resiste solo quello di Milano; ma nel 1955, dopo una lunga lotta sostenuta da larghi strati della popolazione, da campagne di stampa e dall’intervento di altissime personalità, il Convitto di Milano è costretto a lasciare la sede di Via Zecca Vecchia: sarebbe la fine senza l’intervento del Comune di Milano, che concede una ex fabbrica di vagoni ferroviari, con due capannoni semidiroccati, sporchi e cadenti; con un duro lavoro, la sede viene riattata e nel 1956 la Scuola può riprendere la sua attività. Due anni dopo, nel 1958, la scuola media viene legalmente riconosciuta e nello stesso anno i corsi professionali vengono assunti dall’ECAP-CGIL; passeranno poi alla Regione Lombardia, mentre il Convitto resta in funzione fino al 1970.
L’esperienza dei Convitti-Scuola della Rinascita si conclude nel giro di poco più di dieci anni. “Ma – osserva Petter – coloro che l’avevano vissuta portarono poi nei luoghi in cui cominciarono a svolgere la loro attività professionale lo spirito di iniziativa, l’entusiasmo, la voglia di cambiare, le abitudini al rapporto democratico, il senso profondo di giustizia che avevano sviluppato in quegli anni di attività comune”. Un patrimonio che discende direttamente dai momenti più luminosi della Resistenza e che costituisce un’eredità civile e morale che i protagonisti di quel tempo hanno mantenuto vivo e hanno cercato di trasmettere alle nuove generazioni.
Nunzia Augeri, ricercatrice
Pubblicato martedì 2 Febbraio 2016
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