“Concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione Italiana, frutto della Guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli” (art. 2 dello Statuto dell’Anpi)
Lo scorso 22 giugno si è tenuto a Bologna il primo di sei incontri programmati dall’Anpi su scala nazionale per parlare di Costituzione. In un afoso pomeriggio, un pubblico composito ha affollato la Sala del Consiglio della Città metropolitana per ascoltare attentamente i diversi relatori che hanno incentrato i loro interventi sulla non attuazione e sulla non applicazione della Carta costituzionale.
Ad aprire il seminario è stato il Presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia, parlando dell’utilità e della necessità di questo ciclo di appuntamenti, i quali sono in assoluta continuità con il lavoro dell’Anpi e, al contempo, funzionali a rispondere a una domanda che è stata posta all’Associazione nel corso di tutta la campagna referendaria del 2016: “Siete contrari alle modifiche costituzionali, ma quale è la vostra proposta se vincerà il no al referendum?” La proposta dell’Anpi, che – lo ricordiamo – non è un partito politico ma un’associazione che fa politica nello spirito e nel rispetto della Carta costituzionale, è quella innanzitutto di lavorare affinché la nostra legge fondamentale sia attuata e sempre più conosciuta per comprenderla e valorizzarla rispettando lo spirito dei padri costituenti. Un elemento sul quale hanno insistito tutti i relatori e in modo particolare il politologo Gianfranco Pasquino che ha sostenuto come la conoscenza debba iniziare dai più piccoli per creare dei cittadini – e con questo termine si è riferito anche ai nuovi cittadini, cioè gli stranieri – in grado di distinguere tra diritti e doveri.
La forza della nostra legge fondamentale, il suo ethos come hanno ricordato i relatori, deriva dalla sua storia che non va sottovalutata. I singoli aspetti presenti nella Carta, a partire dai principi fondamentali, sono infatti legati al contesto in cui è stata elaborata. Nata dopo il ventennio fascista e la guerra, la Costituzione ha preso forma da uno sforzo unitario di democratizzazione del Paese nel quale i singoli Padri costituenti, pur essendo espressione di diversi partiti politici, hanno saputo trovare un compromesso alto sul quale modellare la legge fondamentale dello Stato italiano, nella comune convinzione che si dovesse impedire un ritorno di ciò che era stato e dare un nuovo indirizzo al Paese.
Ecco perché uno dei valori fondamentali, pur mai nominato nel testo, su cui si fonda la Costituzione è l’antifascismo, inteso – così ha detto Smuraglia – come il rifiuto del fascismo, non solo fenomeno storico, ma anche idea portatrice di tutte le derive antidemocratiche quali il razzismo, la prevaricazione del forte sul debole, e così via; pertanto non vi sarebbe alcun bisogno di nuove leggi contro il proliferare dei neo-fascismi, semplicemente basterebbe attuare quelle esistenti, a partire dalla stessa Costituzione, passando per la legge Scelba e la Mancino. Queste regole del nostro ordinamento sono le armi che prefetti e questori hanno a disposizione contro chi oggi si richiama in diverse forme al fascismo, negando nella sostanza il principio cardine della nostra Carta, quello presente all’articolo 1, secondo cui l’Italia è una Repubblica democratica e, come tale, respinge tutto ciò che nega la democrazia.
La nostra Costituzione non è una Carta di matrice ottocentesca, in cui i diritti sono calati dall’alto, ma una legge fondamentale innovativa, nella quale non si fa solo enunciazione di principi, ma si danno indicazioni ai governi affinché questi principi siano resi efficaci e vengano attuati. Si presenta come un’architettura complessa, un disegno omogeneo fatto di pesi e contrappesi tra poteri, nel quale le singole parti sono inscindibili. Ciò significa che quando si va a incidere in maniera significativa su una parte, si finisce per incidere sul tutto. Negli ultimi anni, chi ha voluto mettere mano alla Costituzione ha intaccato direttamente i principi fondamentali approvando leggi che, ad esempio, hanno stravolto la centralità del lavoro così come stabilito dagli articoli 1, 2, 3 e 4.
Andrea Lassandari dell’Università di Bologna ha sottolineato come la Carta, nell’intento dei costituenti, prevede un modello in cui il lavoro è l’elemento cardine grazie al quale i singoli cittadini sono in grado, con il loro contributo, di incidere sui mutamenti collettivi, a partire dalla possibilità di accedere all’ascensore sociale. Oggi invece si sta progressivamente tornando alla centralità della rendita che, come nelle società di fine Ottocento, differenti da quella attuale solo perché erano fondate sulla rendita fondiaria e non su quella finanziaria, incrementa le disuguaglianze.
Olivia Bonardi dell’Università di Milano ha chiarito come la messa in discussione della centralità del lavoro colpisca automaticamente lo stato sociale. Quando non si forniscono ai cittadini i mezzi per contribuire alla crescita del Paese e le iniziative economiche non sono finalizzate a migliorare la condizione del maggior numero di individui, ma ad aumentare solo l’interesse privato, si accrescono le differenze e si pone un freno significativo alla mobilità sociale. L’idea che la società sia fondata sui consumi e non più sul lavoro – svilito, sottopagato, precarizzato – ha finito per incentivare un disagio sociale generalizzato fondato sulla disuguaglianza, giustificata dall’assetto economico e dal profitto. Il tradimento dell’idea sociale che sta alla base della Costituzione è ancora più evidente nel welfare dove la scelta di una sempre maggiore gestione privata ha colpito proprio quelle classi più bisognose dei servizi essenziali, dall’assistenza alle pensioni.
E non serve cambiare la legge fondamentale per stravolgerla, è sufficiente permettere che un potere prevarichi sull’altro, come è successo ripetutamente sui temi del lavoro. Il governo ha infatti utilizzato impropriamente leggi delega su temi complessi sui quali sarebbe stato necessario un profondo dibattito parlamentare, e nel caso dei voucher li ha eliminati per impedire un referendum legittimo, salvo poi reintrodurli. Una eventualità che nemmeno i nostri Padri costituenti, pur nella loro lungimiranza, avevano potuto prevedere. L’abuso dei decreti legge è un’altra violazione, messa in atto su argomenti centrali, come la scuola, che in questa legislatura ha rischiato di essere riformata per decreto.
Ecco perché diviene quanto mai importante comprendere che, pur essendo ancora oggi in buona salute, la nostra Costituzione è stata ripetutamente tradita nel suo spirito complessivo. Un tradimento a danno dei cittadini e delle istituzioni, ad esempio, perpetrato dalle centinaia di parlamentari che in questa legislatura hanno utilizzato la pur giusta mancanza del vincolo di mandato per cambiare schieramento, dimostrando ancora una volta che il trasformismo è uno dei peggiori e secolari vizi della politica italiana e, soprattutto, eludendo la sovranità popolare. La stessa sovranità, il cui rispetto non può che far rigettare tutte le leggi elettorali nelle quali vi sia una disparità tra i cittadini votanti.
Ci sono poi diverse norme non applicate quali – ha ricordato Carlo Smuraglia – l’articolo 54 che non ha bisogno di alcuna interpretazione del legislatore per essere messo in atto, tanto è chiaro e immediatamente comprensibile: chi ricopre cariche pubbliche deve farlo con disciplina e onore. Questo canone però sembra un’utopia per una classe politica in larga parte incapace di rispettare l’eticità e la moralità che percorrono tutta la nostra Costituzione. Altri importanti miglioramenti possono, invece, essere introdotti con leggi e regolamenti, basti pensare a uno statuto delle opposizioni che ancora oggi non abbiamo.
Ci sono inoltre una serie di tradimenti, non applicazioni e mancate attuazioni legate alla storia stessa della nostra Costituzione. La Carta ha saputo reggere sia al tentativo di depotenziamento e svilimento che datano al momento stesso della sua promulgazione, quando fu frenata a lungo la nascita di importanti istituti di garanzia, quali il Consiglio superiore della Magistratura o la Corte costituzionale, sia ai continui attacchi e stravolgimenti, pensiamo alle riforme del 2001, alla Bicamerale fortunatamente sfumata, alle proposte di Berlusconi del 2006 fino alla riscrittura bocciata con il referendum del 4 dicembre scorso. La tenuta si deve alla struttura della Carta, una struttura che non deve essere deformata, anche se può prevedere alcune revisioni. I relatori hanno citato ad esempio l’articolo 21 sui mezzi di informazione e l’esigenza di un suo aggiornamento; la necessità di risolvere una volta per tutte il conflitto di interessi; l’introduzione di un termine che obblighi a discutere le leggi di iniziativa popolare. Occorre comunque stare attenti perché all’orizzonte si intravedono nuovi e subdoli tentativi di stravolgimento.
Da Bologna ha preso avvio un percorso di conoscenza e di approfondimento che ha l’obiettivo, anche attraverso le altre tappe che si terranno entro il 2017 a Torino, Milano, Pisa, Macerata e Roma, e la diffusione dei contenuti degli incontri, di rafforzare la nostra richiesta per una piena attuazione e applicazione della Costituzione.
Prof Simona Salustri, Master in Comunicazione storica – Dipartimento di Storia Culture Civiltà, Università di Bologna
Pubblicato giovedì 6 Luglio 2017
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