Professor Zaccaria, ha insegnato Diritto costituzionale all’Università di Firenze ed ha espresso forti riserve sulla riforma, il 4 dicembre il Paese è chiamato a esprimersi sulla riforma della Costituzione. Lei è per il No.
Sono tra gli allievi della scuola di Paolo Barile, discendiamo da Calamandrei, dunque. Una riforma costituzionale tocca nel profondo chi, come me, ha studiato la Costituzione per tutta una vita. Noi “toscani” abbiamo tutti firmato il cosiddetto “Documento dei 56”. Questo avrà un significato. Siamo preoccupati perché la riforma rischia di divenire una fonte potenziale di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e potrà offuscare anche lo spirito stesso della Costituzione.
Per tre legislature è stato eletto alla Camera dei Deputati.
È stata un’esperienza preziosa per capire il funzionamento della macchina parlamentare. Sono stato Presidente del Comitato per la legislazione e Vicepresidente della Commissione Affari costituzionali. Nella XV legislatura elaborammo una proposta di riforma affrontando gli stessi temi dell’attuale, ma in maniera molto più calibrata e con testo molto più asciutto di quello sottoposto ora a referendum.
È stato anche Presidente della Rai e ha sempre sostenuto il ruolo dell’imparzialità e della pluralità della comunicazione, nel servizio pubblico in particolare.
Sto realizzando un osservatorio sulla comunicazione promosso da uno dei comitati per il No. I dati disponibili, relativi al periodo da aprile a luglio scorso, documentano già un enorme squilibrio in favore del Sì. E bisognerà tenere gli occhi ben aperti quando scatterà la par condicio. L’Agicom ha già messo a punto il regolamento, altrettanto ha fatto la Commissione parlamentare di vigilanza. Formalmente la campagna referendaria scatta 45 giorni prima del voto popolare. Consideri che, per esempio, le dichiarazioni del Presidente del Consiglio sull’attività del Governo, il vero forte spot per il sì, rischiano di non essere neppure conteggiate. Da almeno sette mesi siamo in campagna elettorale. La comunicazione sarà risolutiva per l’esito del voto.
Ci aiuta a capire?
Sappiamo bene che nell’urna il giudizio non andrebbe confuso con il parere su Renzi e il suo Governo. Per questo invitiamo ripetutamente le persone a entrare nel merito. Sappiamo però altrettanto bene che nella nostra vita quotidiana, nel linguaggio comune si giudicano piuttosto i principi cui quel merito dovrebbe essere agganciato. Sono soprattutto due i principi propugnati da giuristi, personalità di spicco dell’opinione pubblica, osservatori stranieri sostenitori del Sì. La loro tesi è che con la riforma si realizzeranno maggiore stabilità del Governo e maggiore semplificazione nel procedimento decisionale della politica, cioè del procedimento di formazione delle leggi in Parlamento.
E secondo il costituzionalista Zaccaria non è così?
Nessun articolo della riforma tocca il tema della stabilità. Dunque asserirlo o è un equivoco o una truffa, se c’è malafede. A meno che non si leghi la riforma della Costituzione alla legge elettorale. In questo caso, però, cambierebbe anche la forma di Governo.
Il Presidente del Consiglio ripete che ci vogliono 800 giorni per far approvare una legge …
Questo è uno degli elementi che inquina la riflessione sulla riforma. L’iter lunghissimo è riservato a pochissime eccezioni, a leggi che non interessano il Governo. In Italia il procedimento legislativo è già oggi molto veloce. Il Governo può far approvare dal Parlamento in tempi estremamente rapidi le leggi di suo interesse. Bastano 60 giorni per i decreti legge; appena 48 o 49 per la Legge di Stabilità, un provvedimento enorme, con ben 1000 commi al suo interno. È la legge più importante per un Governo. Quale ulteriore accelerazione si vuole imprimere, quando è già fin troppo veloce? La riforma inoltre risolverebbe male tre grandi questioni reali.
Quali sono?
Il superamento del bicameralismo in questa riforma è discutibile, eppure paradossalmente è il tema sul quale c’è il maggior accordo tra le forze politiche. La nuova seconda Camera è veramente un’araba fenice. Il Senato difficilmente sarà idoneo a gestire la complessità delle competenze attribuitegli dalla riforma. Risultato: col bicameralismo asimmetrico, il procedimento legislativo si complicherà notevolmente. Chi afferma il contrario dice una bugia. Nell’articolo 70 ci sono una pluralità di procedimenti legislativi mai visti. Io ne conto sette, e sono tra i più prudenti. Sarà facile sbagliare: come trovarsi in auto su una rotonda e avere davanti sette strade. E se si sceglie quella errata sarà tutto da rifare perché mentre finora la Corte costituzionale non aveva facoltà di intervenire, con l’inserimento in Costituzione dei procedimenti legislativi potrà e dovrà farlo.
E gli altri due problemi irrisolti dalla riforma?
Le autonomie istituzionali sono state concepite come garanzia di democrazia dai Padri costituenti, e cito per tutti Costantino Mortati. Ora vengono sostanzialmente, inspiegabilmente e gravemente ridotte. La democrazia accentrata è meno plurale, meno controllata e finisce in mano a delle oligarchie. I poteri delle Regioni, dopo essere stati notevolmente aumentati negli scorsi decenni, vengono improvvisamente e fortemente annichiliti. Questo vuol dire centralismo, più Stato e meno autonomie. A cosa serve un Senato delle Autonomie, una Camera delle Regioni, quando quelle istituzioni non ci sono più? Sembra una beffa del destino.
Parlava di tre problemi.
Non capisco perché la ministra Boschi insista nel dire che la riforma ha mantenuto inalterata la forma di Governo e che il Presidente del Consiglio non può né nominare né revocare i ministri. Io non sarei stato contrario se gli fosse stata data quella facoltà. Però non è vero. Quando si ripete come un mantra che con la nuova legge elettorale, l’Italicum, un minuto dopo la chiusura delle urne si conoscerà chi governerà per cinque anni, si svuotano di fatto, come una mela dal torsolo, alcuni poteri del Presidente della Repubblica. In una forma di regime parlamentare come la nostra, il Capo dello Stato può scegliere a chi affidare l’incarico per formare il governo. In futuro non sarà più così, sarà costretto a indicare il vincitore della tornata elettorale.
Ancora una volta si incatena la riforma costituzionale all’Italicum.
Non sono io a farlo. L’Italicum è stato approvato prima della riforma, pensando che il Senato non ci fosse più. La Corte costituzionale ha fugato ogni dubbio, quando ha scelto di sospendere il giudizio sulla illegittimità dell’Italicum per non turbare il referendum, quindi ritiene che un’influenza ci sia. Lo dico da “scienziato” non da tifoso.
Ritiene che nell’Italicum ci siano ragioni di incostituzionalità?
Sono almeno tre, nitide e robuste. La prima è il “premio di minoranza”, come si dovrebbe chiamare in realtà, attribuito senza una soglia minima nel ballottaggio. È un elemento che la Consulta valuterà con grande attenzione. Qualcuno ha calcolato che il 12% degli elettori si aggiudicherà il 55% dei seggi alla Camera. Un calcolo preciso, realizzato ricordando che ultimamente vota il 60% del plenum dei 47 milioni degli aventi diritto. È pazzesco. Seconda ragione: alla Camera entreranno tra 300 e 350 “nominati” su 630 deputati. Il conto è presto fatto. Cento sono i collegi e dunque i primi tre partiti eleggeranno almeno cento capilista ciascuno nominati dalle segreterie di partito. Terzo punto, grottesco: la possibilità di candidare lo stesso capolista in dieci diversi collegi. I secondi della lista dovranno soggiacere agli “umori” dei capilista eletti contemporaneamente in dieci collegi e attendere che scelgano quale collegio li porterà in Parlamento. Queste tre ragioni sono macigni per l’uguaglianza del voto, l’accesso alle cariche pubbliche, la parità, il principio di rappresentanza.
Il Presidente Renzi sembrerebbe aver aperto a delle modifiche, anche se spesso le sue dichiarazioni sono altalenanti.
Uno specchietto per le allodole. Di certo, abbiamo una legge elettorale su cui pende il verdetto della Corte costituzionale.
La riforma della Costituzione potrà influire sulla prima parte del Testo, sui diritti fondamentali della Repubblica?
I termini sono questi: i diritti fondamentali di tutti sono garantiti da due condizioni: tecnicamente una si chiama “riserva di giurisdizione” perché, prima che un diritto sia limitato, interviene un giudice; la seconda si definisce “riserva di legge”, un diritto è limitato soltanto per legge e con provvedimento dell’autorità giudiziaria. Il modo di fare una legge, articolato nella Seconda parte della Costituzione, si ripercuote sulla Prima parte, perché riducendo la garanzia, diminuisce inevitabilmente lo spessore dei diritti fondamentali. Le leggi servono anche per tutelare i diritti fondamentali, non solo per definire tasse o contributi. Per esempio, la libera manifestazione di parola e pensiero e la libertà di stampa sono contemplate nell’Articolo 21. Una maggioranza che volesse limitarle, sarebbe agevolata dal nuovo modo di fare una legge sulla tv pubblica.
Nel referendum quanti voteranno consapevolmente, valutando il merito?
Non più di 1 o 2 milioni degli aventi diritto. Ed è motivo di preoccupazione. Siamo tra i Paesi occidentali che hanno modificato più spesso la Costituzione, ma finora si è intervenuti solo per qualche capitolo. È la prima volta che si cambia in maniera molto cospicua. La stragrande maggioranza delle persone, se andrà a votare, sarà “condizionata” dai cosiddetti principi extracostituzionali di stabilità e semplificazione sostenuti a tambur battente. Rischiamo di decidere su tutto, salvo che sulla riforma costituzionale. La Costituzione è la nostra casa comune, però dopo il referendum non sarà più il contratto sociale di tutti, ci saranno vincitori e vinti. La nuova Carta resterà in vigore a lungo, ed è molto pericoloso.
Pubblicato giovedì 13 Ottobre 2016
Stampato il 27/12/2024 da Patria indipendente alla url https://www.patriaindipendente.it/interviste/riforma-costituzionale-e-italicum-un-abbraccio-mortale-per-la-democrazia/