Classe 1926, partigiano, giornalista, filosofo, parlamentare, dirigente comunista, prestigioso intellettuale. Una delle personalità più qualificate per interrogarsi sul fenomeno neofascista. Aldo Tortorella era ancora studente quando entrò nella Resistenza a Milano. Responsabile degli studenti antifascisti con Gillo Pontecorvo, Tortorella, originario di Napoli, si era trasferito a Genova alla fine del 1944 (dopo una rocambolesca evasione, travestito da donna, dall’Ospedale militare milanese dove era ristretto), per riorganizzarvi, col nome di battaglia di “Alessio”, le fila del Fronte della Gioventù. “Alessio” organizza nel capoluogo ligure la propaganda e la lotta armata. Quando, il 25 aprile, l’Unità non più clandestina annuncia la Liberazione, è un ragazzo di 19 anni il redattore capo dell’edizione ligure del giornale del Partito comunista. Nella redazione di Genova Tortorella resta sino al 1957. Tra una missione nella Jugoslavia di Tito e un’altra nella Polonia di Gomulka, passando da Budapest appena “normalizzata” dalla repressione sovietica, Tortorella non trascura gli studi filosofici e nel 1956 si laurea con Antonio Banfi con una tesi sul “concetto di libertà in Spinoza”. È del 1957 il trasferimento a Milano, dove subentra a Davide Lajolo nella direzione de l’Unità. In seguito diverrà segretario della Federazione milanese del Pci e poi del Comitato regionale lombardo. Direttore de l’Unità dal 1970 al 1975, nel 1971 Tortorella è eletto per la prima volta deputato. Confermato sino al 1994, è stato responsabile della politica culturale del PCI durante la segreteria di Enrico Berlinguer e anche di quella delle “questioni dello Stato” con Alessandro Natta, col quale si oppose – insieme a Pietro Ingrao – alla “svolta della Bolognina” di Achille Occhetto. Esce dal Pds nel 1999 in dissenso con la scelta del governo di centro-sinistra di partecipare alle azioni militari contra la Serbia durante la crisi del Kosovo. Aldo Tortorella è presidente onorario dell’Associazione per il rinnovamento della sinistra, da lui fondata insieme a Giuseppe Chiarante e altri alla fine degli anni 90, e direttore di Critica marxista.
Sembrerebbe che oggi, diversamente da quanto avveniva – per esempio – agli anni Settanta, alcune formazioni neofasciste godano di un consenso sociale non particolarmente elevato, ma in costante crescita, tant’è che riescono ad eleggere una rappresentanza in vari Comuni, da Bolzano a Todi, da Lucca ad Arezzo a tanti altri. E ad Ostia, com’è noto, CasaPound ha ottenuto un significativo risultato elettorale. C’è il rischio della formazione di una base sociale più o meno estesa a sostegno di queste formazioni politiche?
Certo. Il pericolo è più che evidente. La crisi economica unitamente alla perdita di competitività con la moneta unica (cioè con la fine delle ‘svalutazioni competitive’) ha generato molti danni sociali. È stata persa quasi il 30% della manifattura. Molte piccole e medie aziende sono state spazzate via. Ciò ha determinato direttamente e indirettamente la rovina di molti, l’impoverimento del ceto medio, l’aggravamento della disoccupazione già pesante per le nuove tecnologie sostitutive di lavoro umano. Le forze maggioritarie della sinistra non hanno capito quello che succedeva e hanno riposto tutte le loro speranze nella linea economica neoliberista gestendola dal governo o non combattendola dall’opposizione. L’esempio fu Blair in Inghilterra e Clinton negli stati Uniti con i loro imitatori italiani e di altri paesi. In tutto il mondo sviluppato ciò ha generato zone di comprensibile rancore di quanti erano (e sono) a disagio o alla disperazione. Un rancore che si è rivolto contro l’establishment moderato (cioè contro i gruppi politici dirigenti) entro cui la sinistra maggioritaria si era venuta collocando. Logicamente ci si è rivolti altrove, e soprattutto a chi sembrava esterno al sistema di potere e portatore di una soluzione altra da quella discreditata. Ha pesantemente influito, in Italia, l’antica campagna antipartitica purtroppo alimentata da forme di corruzione endemica. L’imprenditore “che dà lavoro” è divenuto una figura di riferimento, quasi eroica. Il politico che “sa solo chiacchierare” e che in taluni casi viene scoperto a rubare o ad approfittare del suo ruolo diventa il nemico. Lo stesso metodo democratico fatto di diversità e di contrasto di opinioni diventa poco comprensibile, poi fastidioso, poi non più tollerato.
Prendono piede le apparenti soluzioni semplici. “Mandiamoli tutti a casa” si trasforma facilmente in volontà di governo forte e di “uomo forte”. Inoltre prende facile avvio anche la rivalutazione del passato fascista: facevano le bonifiche delle paludi, facevano le case popolari, eccetera. E si ignora che il fascismo ha promosso la più grande strage del secolo passato con la guerra mondiale, la morte di milioni di italiani, la rovina totale del Paese. E ancora adesso siamo un Paese occupato da basi straniere con relative bombe atomiche. Una propaganda costante non contrastata ha diffuso una idea orribile della Resistenza esasperando alcuni episodi tacendo sulla barbarie nazista e fascista. Naturalmente, su questa realtà intervengono settori del capitale che investono in questi gruppi considerati strumenti di riserva da usare in caso di bisogno e comunque tali da spostare a destra l’asse politico.
Un’organizzazione giovanile neofascista, “Azione studentesca”, ha vinto le elezioni della Consulta provinciale degli studenti di Firenze (a Firenze!). Il nuovo presidente della Consulta è un rappresentante di questa organizzazione. Peraltro nel mondo dell’associazionismo in generale le formazioni neofasciste sono sempre più presenti. Costa sta succedendo fra le giovani generazioni?
Non posso rispondere sul caso di Firenze che non conosco altro che per le sommarie cronache dei giornali. Mi pare che si debba distinguere sempre tra votanti e votati e anche tra capi e seguaci. Leggo che l’associazione di destra ha portato avanti rivendicazioni capaci interessare molti. Leggo anche che farebbero propaganda parlando delle foibe triestine ad opera degli jugoslavi di Tito. Queste furono una infamia senza possibili giustificazioni. Ma temo che non ci sia nessuno che ha informato quei giovani delle infamie compiute dai fascisti contro gli sloveni.
Comunque, parlando in generale, le giovani generazioni sono le più penalizzate dalla situazione che ho richiamato prima. Le cifre della disoccupazione giovanile sono note. Ed è noto che il lavoro precario, mal pagato, privo di tutele e garanzie prevale tra il giovani. Non c’è avvenire e non c’è speranza. Tra i giovani può avanzare l’ideologia che dice: il socialismo è fallito, la democrazia è fallita, facciamo piazza pulita, imbocchiamo una strada nuova tutta nostra. Solo i gruppi dirigenti ideologizzati sanno che la strada nuova è quella vecchia. Ciò che viene presentato ai giovani su cui si punta per farne dei quadri delle formazioni neofasciste è un misto di nazionalismo razzista (l’Italia umiliata dalla sinistra succube, le aziende italiane vendute agli stranieri, gli italiani sommersi dagli immigrati ecc) e di rivoluzionarismo di pseudo sinistra (contro l’americanismo, confusione tra governo Netanyahu ed ebrei, misure di socialità ecc). Ezra Pound fu tipico di questa ideologia: pensando di essere un rivoluzionario antiborghese coprì le più atroci infamie naziste e fasciste.
Un’inchiesta di Patria Indipendente ha rivelato che su Facebook vi sono circa 2700 “pagine” di ispirazione di estrema destra radicale, e molte centinaia di queste propongono messaggi di esplicita apologia del fascismo. La sola pagina di CasaPound Italia ha circa 225mila “Mi piace”. Come interpreti questo fenomeno?
Oltre a ciò che ho detto prima penso che ci sia stata distrazione tra tutte le forze democratiche pensando che si trattasse di episodi marginali ed evitando un contrasto ideale, morale e politico. Anche le forze democratiche più avanzate come furono i comunisti italiani commisero l’errore di considerare che la Resistenza fosse stato un lavacro della nazione. Non era così. Le basi del fascismo furono nella tendenza autoritaria che le classi possidenti mettono in campo quando vengono messe in discussione le basi del loro potere. Dopo la Prima guerra mondiale masse di soldati senza occupazione e masse di lavoratori premevano per migliori condizioni di vita e scuotevano le basi del potere. In più la rivoluzione russa avvalorò l’idea erronea che fossero mature le condizioni della rivoluzione ovunque. Nacquero lotte senza sbocco e anche aspre divisioni nel movimento operaio che furono poi corrette, ma quando era troppo tardi. Il capitale agrario e industriale volse a suo favore lo scontro, alleandosi con il ceto medio frustrato e con i reduci scontenti e trascurati a sinistra, promuovendo la soluzione dittatoriale. Ma questa fu contrastata solo da minoranze. E un consenso vi fu a lungo e fino alla tragedia della guerra. Occorreva non rimuovere questo dato. Chiarire a fondo il rapporto tra tirannide e arretratezza italiana. L’Italia era rimasta un paese agricolo industriale quando tutti i Paesi occidentali era già il contrario, con una prevalenza grande dello sviluppo industriale e con un terziario che avanzava. Bisognava esaminare a fondo il rapporto tra una propaganda fatta di slogan demagogici e una cultura impoverita dall’assenza di discussione e di contrasto. Si pensò che il disastro era stato così enorme che la lezione valesse per sempre. Non era così. Da questo è nata la distrazione. Al fondo della cultura diffusa rimanevano elementi nostalgici e rimanevano circoli e gruppi organizzati nati dal vecchio ceppo nazista e fascista. E nella organizzazione dello Stato democratico si trasferì quasi integralmente il vecchio apparato compresi tutti i peggiori arnesi, compresi quelli di Salò. Ora non basta la richiesta di applicare severità legale. Bisogna combattere culturalmente se non si vuole che la piaga si diffonda. Ma per combattere culturalmente bisogna contemporaneamente essere dentro i problemi reali delle persone. Non è sufficiente sostenere i sacrosanti diritti civili, bisogna occuparsi dei diritti sociali, stare vicino a chi è a disagio e a chi soffre. Altrimenti nessuno ascolterà.
C’è quindi un volto “sociale” del neofascismo, ma permane il ricorso alla violenza. I casi di aggressione da parte di aderenti a tali movimenti non si contano. Perché la violenza fa parte del Dna del fascismo?
La violenza è arma essenziale del fascismo. Può estendersi se non vi è rigoroso contrasto dello Stato. I peggiori tra questi gruppi sono già squadracce ora contro gli immigrati domani contro la sinistra infine contro la democrazia.
Quali sono le ragioni di ordine generale che spiegano il ritorno del pericolo neofascista in Italia?
C’è una situazione internazionale pericolosa. Regimi autoritari sono già presenti in vasta parte del mondo. Gli Stati Uniti attraversano una profonda regressione. L’attuale presidente è imprevedibile. Ma con lui ha vinto la tendenza peggiore entro la borghesia americana. Nell’Europa dell’est seppure su basi elettorali ristrette (cioè con grande astensione dal voto) si affermano tendenze ultra reazionarie. Si rivaluta persino la partecipazione a fianco dei nazisti alla guerra anti sovietica e anti russa. L’occidente volle l’umiliazione di Gorbaciov e si ritrova con una Russia nazionalista. E il nazionalismo avanza nel nostro continente contro gli ideali europeisti. Le guerre dilagano. Da tutto questo viene il pericolo.
Quali risposte immediate e di prospettiva può avanzare la Repubblica democratica, lo Stato e la politica, per arginare questo fenomeno e possibilmente debellarlo?
Lo Stato deve intervenire con forza e con l’uso della forza contro i violenti. Le leggi ci sono e vanno applicate. La politica deve ritrovare la sua anima. Parlo anche dei settori del conservatorismo democratico. Quei conservatori che vollero il fascismo furono poi anche loro spazzati via. Churchill era un conservatore ma combatté duramente nel suo stesso partito per far capire che Hitler era la peste dell’Europa. E soprattutto deve ritrovare un’anima la sinistra. Essa è nata per difendere i deboli, per contrastare l’arbitrio dei forti cioè del capitale oggi divenuto innanzitutto capitale finanziario che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Nella fuga verso i paradisi fiscali per non pagare le tasse si trovano assieme, come si è visto, la regina, il capitalista, il contrabbandiere e il mafioso. Questo non vuol dire che non si debbano fare distinzioni. Ma vuol dire che non si può lasciare alla demagogia, compresa quella fascista, la questione morale e la lotta contro l’ingiustizia. I demagoghi e i fascisti usano la questione morale per abbattere le garanzie democratiche e favorire il dominio capitalistico. Le sinistre dovrebbero levare la questione morale e la lotta contro l’ingiustizia per favorire l’inveramento della democrazia costituzionale in larga misura inapplicata o tradita.
Pubblicato mercoledì 13 Dicembre 2017
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