Sull’aggressione nazista e fascista all’Unione Sovietica del 1941, la memorialistica, i racconti, i ricordi, i diari sono stati tanti e ne sono nati capolavori notissimi che hanno emozionato, commosso e indignato. Anche il cinema si è occupato, ad altissimo livello, della tragedia dei soldati italiani spediti da Mussolini con l’Armir a morire nelle steppe a fianco di un alleato canaglia e sterminatore o nei campi di prigionia per le malattie o la fame.

Un po’ meno attente sono state le ricerche storiche, gli studi specifici e le indagini, in Italia e nell’ex Unione Sovietica, dove gli archivi, per anni e anni, non sono stati consultabili anche per precisi motivi politici. Chi può dimenticare, infatti, le speculazioni politiche, ai tempi della guerra fredda, proprio sulla tragedia degli italiani mandati ad aggredire “la Patria del socialismo” e mai tornati a casa?

I superstiti di quella tragedia, dunque, si trovarono tra due fuochi: invisi al mondo della sinistra ed esaltati, invece, come martiri, dalla destra neofascista e dalla Democrazia Cristiana. Senza, tra l’altro, tener conto che proprio molti dei ritornati da quell’inferno di neve e di gelo, proprio in Unione Sovietica, scoprirono la verità sul fascismo e sul nazismo e decisero di fare una scelta di lotta, di libertà, salendo subito in montagna con i partigiani.


L’ARMIR nella tragedia della campagna di Russia

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Tutto questo viene ora affrontano in un bel libro pubblicato da “Il Mulino”. L’ha scritto Maria Teresa Giusti, che insegna all’Università di Chieti e che si è già occupata dei soldati italiani in Russia e nei Balcani.

Nel volume “La campagna di Russia 1941-1943”, la Giusti non evita in alcun modo di parlare, in maniera approfondita, anche delle responsabilità dello stalinismo e degli errori del regime sovietico con le sue rigidezze e le vessazioni contro la popolazione civile e contro i soldati spediti al fronte e spesso mandati al macello per errate valutazioni della situazione o per errori degli stati maggiori e dei generali. E parla anche dei grandi appelli dello stesso Stalin, in difesa della “madre Russia”, agli operai e ai contadini.

Maria Teresa Giusti ha poi la capacità di analizzare con notevole abilità la situazione europea prima dell’aggressione nazifascista all’Urss per entrare subito dopo nel vivo della tragedia. Ed è esattamente quel che serve a un lettore giovane o a un distratto cultore di storia.

Così, ecco il patto Molotov-Ribbentrop con tutte le sue implicazioni e poi l’alleanza italo-tedesca e lo stabilirsi del “nuovo ordine nel Mediterraneo”, così come lo volevano Hitler e Mussolini. Non manca nemmeno l’analisi dei rapporti tra l’Urss e il regime fascista prima della guerra e la decisione nazista di condurre l’operazione “Barbarossa” per uno sterminio totale del popolo russo, in una guerra ideologica e razzista contro i comunisti, contro il mondo slavo e Stalin.

L’autrice del libro entra poi nel vivo di quel che successe in Italia con la costituzione del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (il Csir) e le scelte strategiche di Mussolini che, come al solito, sperava in una rapida vittoria nazista. Il dittatore fascista, tra l’altro, sapeva perfettamente che l’esercito italiano era male organizzato, male armato e male equipaggiato.

Non sono leggende la storia delle scarpe di cartone e quella delle armi che, prima di ogni battaglia, dovevano essere riscaldate sul fuoco per liberarle dal ghiaccio e dalla neve. Particolarmente interessante è la documentazione sugli umori dei soldati italiani in guerra e sul rapporto con gli ufficiali e la popolazione sovietica. Più tardi, arriva la costituzione dell’Armir, l’Armata italiana in Russia con il relativo regime di occupazione nelle zone conquistate e dunque gli scontri con i partigiani, il comportamento terrificante degli occupanti nazisti, i combattimenti sul Don, l’utilizzo sbagliato degli alpini. E non mancano, da parte italiana, episodi di eroismo e di resistenza che la Giusti valuta nel modo dovuto, sempre tenendo conto dei pochi mezzi che gli italiani avevano a disposizione. Nel libro, è attento l’esame dei rapporti tra italiani e tedeschi, rapporti che tanto peso ebbero, poi, nei momenti della tragedia, quando gli italiani diedero inizio alla grande ritirata (centinaia di chilometri a piedi nella steppa ghiacciata e coperta di neve) che costò migliaia di morti, congelati o per fame, e migliaia di feriti abbandonati nel nulla e senza speranza. Furono soprattutto i reggimenti alpini a pagare un prezzo terribile nel tentativo di rompere l’accerchiamento sovietico o per raggiungere le retrovie a Nikolajewka.

Quanto ci costò l’aggressione all’Unione Sovietica? Calcoli precisi, soprattutto per quanto riguarda i nostri prigionieri, sono risultati sempre impossibili. Comunque, in soli 45 giorni, dei 230mila soldati partiti per la guerra nelle steppe, 95 mila non fecero più ritorno.

Nel libro della Giusti, il materiale fotografico non è di grande valore. Per questo, abbiamo preso le fotografie della tragedia dei soldati italiani in Russia, da quel celebre librettino stampato tanti anni fa da “Il diaframma”, la galleria milanese di Lanfranco Colombo. Il titolo del volumetto, che ebbe un incredibile successo, era: “Dal Don a Nikolajewka” e conteneva una straordinaria documentazione messa insieme con le foto dei tenenti Roberto Cacchi, del 6° Alpini, Gianfranco Ucelli del 3° Alpini, Arturo Vita del 3° alpini e Alfredo Nicolini, dell’artiglieria alpina. A questi “dilettanti” generosi che ebbero il coraggio di impugnare anche la macchina fotografica in momenti così terribili, un caldo e rispettoso grazie.

Wladimiro Settimelli, giornalista, già direttore di Patria Indipendente

 

Maria Teresa Giusti insegna nell’Università «Gabriele d’Annunzio» a Chieti. Per il Mulino ha pubblicato anche «I prigionieri italiani in Russia» (20142, premio Cherasco) e «Una guerra a parte. I militari italiani nei Balcani, 1940-1945» (con E. Aga Rossi, 2011).