Sarà a Milano, a partire dal 7 gennaio e fino al 16 febbraio nei locali del Palazzo di Giustizia, la mostra “Schedati, perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo”, un’esposizione itinerante, visitabile gratuitamente, realizzata dalla Società italiana di Psichiatria in collaborazione con il Network europeo per la ricerca e la formazione in psichiatria e psicodinamicità e, nel capoluogo lombardo, dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere (Onda). La mostra è partita nel gennaio 2014 nel Parlamento tedesco a Berlino e, significativa fin dal titolo, dopo alcune soste in diverse città europee (Vienna, Londra, Osaka) e italiane (Roma, tra le altre) con oltre 340 mila fruitori, ha fatto tappa nel mese di novembre anche alla Cittadella dei Musei di Cagliari, con il patrocinio dell’Università e dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari.
I malati mentali e psichici rappresentavano un grave peso durante il nazismo che, tra il 1933 e il 1939, decise di sterilizzare 400mila persone contro la loro volontà. La mostra contiene 50 pannelli fotografici di persone comuni che avevano “la colpa” di essere affetti da problemi psichiatrici. Nell’autunno del 1939, per ordine di Hitler, veniva perseguito un feroce e sistematico programma contro quanti erano marchiati da “inferiorità mentale” perché portatori di “difetti genetici”: l’Aktion T4, nome convenzionale del “Programma nazista di eutanasia”. T4 è l’indirizzo, via e numero civico, di Berlino dove era situato il quartier generale dell’ente pubblico per la salute e l’assistenza sociale. Il piano di eugenetica razziale perseguito dal nazismo è stato una delle più feroci e indicibili forme di eliminazione fisica al fine di preservare la purezza del popolo tedesco.
Il mondo della psichiatria ha dunque partecipato in modo concreto alla eliminazione fisica di tantissime persone, voluto e realizzato dal disegno dell’eugenetica nazista.
«La nostra mostra – ha affermato Bernardo Carpiniello, past- president della Società italiana di Psichiatria e organizzatore dell’esposizione – può e deve essere un’occasione per meditare soprattutto sul presente, perché i segnali di una “febbre” che sta salendo nel mondo ci sono tutti e credere che quanto è accaduto non possa tornare è un’illusione. Il senso di solidarietà sociale si è perso ed è forte il desiderio di un uomo solo al comando che possa scacciare le tante paure che oggi ci attanagliano. Ma tutto questo è un pericolo per le nostre società, perché dimentichiamo spesso, quanto sia veloce il passaggio da una democrazia a una democrazia limitata».
Neppure il regime fascista è stato esente da provvedimenti simili a quelli perseguiti dai nazisti. In Italia l’approvazione del Codice penale del 1930 (noto come codice Rocco, dal nome del suo principale estensore, il guardasigilli del Governo Mussolini Alfredo Rocco) introdusse specifici reati in materia di controllo delle malattie psichiatriche, come l’omessa denuncia degli alienati e l’iscrizione dei ricoverati nel Casellario giudiziario. Questi strumenti giuridici sono stati utilizzati dal fascismo nostrano per la repressione del dissenso politico e sociale. Infatti l’apparato del controllo sociale, composto da confidenti, agenti e spie contribuiva a dare l’immagine dello squilibrio mentale e delle intenzione pericolose degli schedati politici antifascisti.
Un’altra modalità di internamento degli antifascisti, se accusati di un determinato reato, era il ricovero coatto in ospedale psichiatrico, perché considerati incapaci di intendere e di volere. E tanti furono i casi di internamento di antifascisti italiani negli istituti psichiatrici giudiziari.
Continua Carpiniello: «C’è sempre il pericolo che queste situazioni possano ripetersi. Il problema di oggi si chiama “stigma”. Vuol dire marchio. Se uno ha il marchio di persona affetta da disturbo mentale grave non trova lavoro, spesso non trova casa in affitto. Bisogna combattere i pregiudizi».
Il regime fascista ha utilizzato il pretesto della pazzia per colpire anche le “donne ribelli” o meglio per circoscrivere la “devianza femminile”. Ma questo è un altro discorso….
Maurizio Orrù, giornalista, segretario regionale Anppia Sardegna
Pubblicato giovedì 3 Gennaio 2019
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