Una denuncia presentata dal questore di Prato in persona, Alessio Cesareo, perché durante le celebrazioni del 25 aprile la piazza lo aveva contestato, e con lui il prefetto Rosalba Scialla, per aver autorizzato, il precedente 23 marzo, la manifestazione di Forza Nuova organizzata in occasione del centenario della nascita dei fasci di combattimento. Ma secondo la Procura i fischi e gli slogan scanditi durante la Festa della Liberazione non costituiscono affatto reato, sono state semplicemente “legittimo dissenso” e con questa motivazione ha chiesto l’archiviazione del fascicolo.
L’inchiesta era stata avviata dal telex “urgente” inviato dal rappresentante della pubblica sicurezza al ministero dell’Interno. Nell’informativa c’era un preciso resoconto delle frasi scandite che, ad avviso del questore, non sarebbero state “rispondenti alla solennità della manifestazione”, e si aggiungeva che i cori dei contestatori erano “consistiti nel chiedere le dimissioni del prefetto e nell’intonare alcuni canti tipici della lotta partigiana” (Bella Ciao!). Subito dopo la Procura aveva dovuto aprire un fascicolo contro ignoti, ipotizzando il reato di vilipendio della Repubblica e delle sue istituzioni, ma negli ultimi due mesi nessuno è stato indagato.
Ora dal procuratore capo Giuseppe Nicolosi e dal sostituto Gianpaolo Mocetti è arrivata la richiesta di archiviazione perché si è trattato di “legittimo dissenso” e non ci furono affatto “violenza e offese” nei confronti dei due rappresentanti delle istituzioni. Il sostituto procuratore Mocetti ha esaminato più volte le immagini raccolte dalla Digos, concludendo che proteste e cartelli (“Prefetto vai a casa”, “Prefetto noi non dimentichiamo!”) rappresentano dunque una critica, legittima, nei confronti dell’operato di questore e prefetto. I pm hanno inoltre documentato che gli slogan scanditi in piazza Santa Maria delle Carceri quali “Su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroverai, morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza” si richiamavano alla celebre epigrafe Lo avrai, Camerata Kesserling composta da Piero Calamandrei. Una iscrizione famosa come la vicenda che portò alla sua realizzazione.
Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, nel dopoguerra era stato condannato a morte per la sua responsabilità in numerose stragi nazifasciste, le Fosse Ardeatine e Marzabotto. Pena presto commutata nel carcere a vita. Ma già nel 1952, in considerazione delle sue “gravissime” condizioni di salute, fu messo in libertà. Accolto come un eroe in Germania, il criminale di guerra ebbe pure l’impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi e che gli italiani avrebbero dovuto essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto da erigergli un monumento. L’iscrizione “Ad ignominia” era stata la risposta del noto giurista, poeta e padre costituente.
A Prato, il 23 marzo, la manifestazione di Forza Nuova, autorizzata, era stata un flop: appena 150 militanti da tutta Italia tra cui il leader nazionale Roberto Fiore. Al contempo invece erano stati migliaia gli antifascisti e partigiani a riempire piazza Santa Maria delle carceri per la mobilitazione democratica sia contro lo squallido presidio nero sia contro la decisione di questura e prefettura di autorizzarlo.
Dopo la denuncia della piazza che festeggiava il 25 aprile da parte del questore, l’Anpi Prato aveva diffuso una nota molto dura definendo la segnalazione penale “ridicola e intimidatoria” perché “se si denunciassero i fischi alle iniziative pubbliche tutte le procure sarebbero intasate di lavoro”. La Procura ha dato ragione ai partigiani. Adesso a pronunciarsi dovrà essere il giudice.
Pubblicato lunedì 24 Giugno 2019
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